The Klezmer Project di Leandro Koch e Pamela Schachmann ( Premio GWFF per la migliore opera prima alla Berlinale)

  • 4
4

È con certezza uno dei film più originali e importanti fra quelli visti a Berlino il film argentino /austriaco Adentro mio estoy bailando che reca altresì il titolo internazionale The Klezmer Project. Ed infatti ha vinto, per noi, molto meritatamente il Premio GWFF per la migliore opera prima di tutta Berlinale.  Il film ha una struttura complessa, lo spettatore ci impiega un po’ a capire i vari livelli, ma dopo che li ha capiti, comprende al tempo stesso la necessità di una costruzione che lineare non poteva proprio essere.

Il livello uno racconta dell’incontro fra un ragazzo che si chiama Leandro ed è interpretato dal regista, direttore della fotografia, montatore del presente film Leandro Koch, che di mestiere cura le riprese per i matrimoni ebraici di Buenos Aires e una ragazza Pamela, interpretata dalla regista e sceneggiatrice del presente film Pamela Schachmann, che di mestiere suona il clarinetto in un’orchestra di musica klezmer, un’orchestra che Leandro si trova a riprendere. Per Leandro è amore a prima vista. Ma per Leandro il proprio mestiere è, in prima battuta, funzionale a sbarcare il lunario, Pamela è invece un’artista, interessata alla pratica e alla storia di quella musica. Per rendersi interessante Leandro finge anche lui di essere interessato e le dice che sta lavorando a un documentario su quella musica. E parte da quel che ha, cominciando a interrogare la nonna, già leggermente smemorata, originaria della Moldavia (anzi della Bessarabia), di un territorio dunque di grande tradizione ebraica e dunque klezmer.

Il secondo livello racconta del documentario che Leandro e Pamela (divenuti quasi una coppia) decidono di girare alla ricerca di ciò che resta della musica klezmer nell’Europa orientale. Devono (come i due registi “veri”) trovare finanziamenti e li trovano a Salisburgo (come i due registi “veri”). Dopodiché ha inizio un road movie con camioncino: Ucraina, Romania, Moldova. Ma di musica klezmer non restano grandissime tracce, qualche anziano abitante di sperduti paesini suona musica locale con qualche reperto klezmer, oppure in passato ha conosciuto musicisti che praticavano quella musica. Ma il documentario non decolla proprio, al punto che Leandro e Pamela sono costretti a mentire alla produzione salisburghese dichiarando di aver raccolto molto materiale quando invece non è affatto vero.

Su questo secondo livello – documentario che non decolla e road movie – se ne innesta un terzo, un livello che si può definire saggistico, ovvero una riflessione teorica del perché non si trovano quasi più musicisti klezmer nei luoghi in cui un tempo era di casa, ossia negli shtetl dell’Europa Orientale. La ragione che gli interpellati (fra i quali un esperto reale di musica klezmer, l’etnomusicologo americano di origine ebraica Bob Cohen) adducono è di estremo interesse: la musica klezmer sta scomparendo in parallelo alla scomparsa della lingua yiddisch, la cui condanna è intimamente legata – si può dire già da fine ‘800 – all’egemonia del sionismo, all’egemonia dell’ebraico, al più tardi a partire dalla fondazione dello Stato d’Israele, che ha d’autorità vietato o comunque scoraggiato l’uso dello yiddisch. L’opposizione ebraico/yiddisch nella concezione dei due registi viene connotata in un’ottica gender: l’ebraico è il maschile e lo yiddisch è il femminile, una teoria suggestiva, anche se meritevole di approfondimenti (come mai lo yiddisch scomparirebbe tenendo conto che le donne sono le prime titolari della trasmissione del linguaggio ai propri figli?).

Il quarto livello è il più complesso ed è una sorta di metanarrazione, à la Isaac Bashevis Singer, in cui la storia che stiamo guardando, opportunamente finzionalizzata, ci viene a intervalli raccontata da una narratrice in voce off, che la sta leggendo da un libro in una serie di sedute di un circolo di lettura. E questo libro è scritto e parlato in yiddisch, estremo, quasi postumo atto di salvezza e di trasmissione della memoria comunicativa, altrimenti a rischio estinzione ottenuto appunto attraverso la scrittura.

Disseminata in mezzo ai primi tre livelli c’è tanta musica, non solo klezmer, con apposite didascalie che ci spiegano che cosa stiamo ascoltando e dunque il film finisce per essere, magari in modo diverso rispetto alle premesse, proprio quel documentario musicale che aveva l’ambizione di voler essere.

Siamo di fronte a un progetto ambizioso e riuscito, protrattosi per molti anni, come hanno raccontato i due registi alla prima berlinese, frutto di una stratigrafia di stesure e di livelli – necessari a testimoniare fratture e discontinuità di una vicenda che anche e soprattutto per colpa della Shoah ha subito irreversibili sconquassi – e con alcuni testimoni, a partire dalla nonna del regista, nel frattempo defunti, ma comunque fissati sulla pellicola. Una lotta contro il tempo che è speculare dell’assunto del film.


Cast & Credits

Adentro mio estoy bailando; regia, sceneggiatura: Leandro Koch, Pamela Schachmann; fotografia: Leandro Koch, Roman Kasseroller; montaggio: Leandro Koch, Javier Favot; interpreti: Leandro Koch (Leandro), Pamela Schachmann (Pamela), Perla Sneh (narratrice); produzione: Nabis Filmgroup (Salisburgo), Nevada Cine (Buenos Aires); origine: Austria, Argentina 2023; durata: 117’.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *