Trap M. Night Shyamalan

  • Voto


“Io ho un lato oscuro” afferma minacciosa la madre di una compagna di scuola di Riley (Ariel Donoghue), la figlia adolescente che Cooper (Josh Hartnett), vigile del fuoco e padre amorevole, ha accompagnato al concerto di Lady Raven (Saleka Shyamalan) in un’arena stracolma di Gen-Z sognanti e armati di telefonino.

Come sarà capitato alla maggior parte dei papà, in contesti simili, Cooper si sente evidentemente un pesce fuor d’acqua, ma per l’amore dei figli si fa questo ed altro. L’uomo ignora, tuttavia, quale sia il suo effettivo status, dal momento che, più che altro, egli è un pesce caduto nella rete gettata da polizia e FBI, che presidiano e circondano l’intera arena. Difficile parlare del film evitando di spoilerare il twist narrativo alla base della trama, per quei pochi che ancora non si sono imbattuti nel trailer cinematografico della pellicola scritta e diretta M. Night Shyamalan.

Non ce ne vogliano dunque costoro, perché si dà il caso che Cooper di lati oscuri se ne intenda, e parecchio anche. E’ lui, infatti, Il Macellaio, il sadico assassino che i federali e la polizia stanno cercando, capeggiati dalla profiler Josephine Grant (Hayley Mills). In qualche modo le forze dell’ordine sono venute a conoscenza della presenza del serial killer al concerto e, con la complicità di Lady Raven e del suo staff, hanno tutta l’intenzione di catturarlo per porre fine ai suoi efferati delitti. Cooper, assediato dalle forze dell’ordine, si troverà costretto a escogitare un modo per trarre se stesso in salvo, possibilmente senza che la figlia sospetti nulla della sua doppia natura.

Diviso sostanzialmente in tre atti, ognuno dei quali è costruito sul punto di vista di uno dei protagonisti della vicenda (nel primo atto prevale, evidentemente, il punto di vista del protagonista, mentre nel secondo e nel terzo, rispettivamente, quello di Lady Raven e della moglie Rachel interpretata da Alison Pill), il film del regista de The Sixth Sense – Il sesto senso (1999) è un’opera tutta giocata sulla suspense e profondamente hitchcockiana, nel suo fornire, a noi spettatori, informazioni maggiori rispetto a quelle in possesso dei protagonisti filmici, salvo poi depistarci.

Hitchcockiano è, naturalmente, Cooper, ossessionato da una figura persecutoria materna. evidentemente castrante, come lo era il Norman Bates di Psyco. Non è quindi un caso che la Dott.ssa Grant, che quella madre ricorda, sia l’unica in grado di fermarlo.

Ma è anche un film profondamente legato alla poetica del regista, poiché vengono riproposte le tematiche care all’autore: in primis quella, centrale, della fede, della fiducia nel prossimo sempre messa sotto scacco. Ma anche del dolore, della fragilità umana e della necessità del perdono come forma di riscatto e di sopravvivenza ai traumi che la vita ha posto sul nostro cammino.

In tale ottica, la famiglia sembra essere il laboratorio privilegiato nel quale mettere quotidianamente alla prova tali concetti, sia quando essi vengono effettivamente esperiti sia quando, al contrario, vengono disattesi e traditi. Una sorta di brodo di coltura dei rapporti sociali in scala ridotta, ma anche di ultimo avamposto continuamente assediato da istanze che spingono altrove. E’ legittimo credere che Cooper possa essere un padre premuroso e amorevole e, al contempo, uno spietato assassino? E’ vera una sola di queste affermazioni o lo sono entrambe?

“Non avevo mai visto la mia casa con questi occhi”, afferma a un certo punto il protagonista, con il quale Shyamalan, subdolamente, ci spinge a solidarizzare e tifare. Una persona scotomizzata, che nasconde a se stesso e ai suoi cari una parte della propria esistenza, specchio forse di un’umanità scissa in ambiti molteplici, in funzioni sociali – genitori, lavoratori, consumatori, elettori – tutte apparentemente inconciliabili?

Si tratta, però, anche, di un film che guarda ai millennials e alla Gen-Z quale referente principale (durante la proiezione in sale in cui abbiamo visto il film ce n’erano parecchi rappresentanti, tutti piuttosto partecipi), mettendone in discussione alcuni falsi miti, comoda lettura per la generazione dei padri, che li vogliono senza prospettive o punti di riferimento, persi nel mare magnum dei social network, frammentati e parcellizzati negli innumerevoli punti di vista rappresentati dagli obiettivi dei propri smartphone.

È a Lady Raven, cantante e influencer, che viene affidato questo compito, quello di sfatare detti miti, lei che dal padre è stata abbandonata, riuscendo comunque ad andare avanti senza rancore. Un personaggio che, dei social, mette in risalto la componente positiva, quella del network appunto, della rete intesa come comunità, di quelle che gli adulti non sembrano in grado più di creare. Uno dei personaggi femminili, il solo forse, che è in grado di tenere testa al Macellaio.

È, in definitiva, nelle mani e nello sguardo dei figli che Shyamalan ripone le speranze per il futuro di tutti. Possiamo forse dargli torto?

In sala dal 7 agosto 2024


Trap – Regia e sceneggiatura: M. Night Shyamalan;  fotografia: Sayombhu Mukdeeprom; montaggio: Noëmi Preiswerk; musica: Herdís Stefánsdóttir; scenografia: Debbie DeVilla, Brittany Morrison ; interpreti: Josh Hartnett (Cooper), Ariel Donoghue (Jody), Saleka Shyamalan(Lady Raven), Hayley Mills (dottoressa Josephine Grant), Alison Pill (Rachel), Jonathan Langdon (Jamie), Marnie McPhail (mamma di Jody), Scott Mescudi (Il Pensatore); produzione: M. Night Shyamalan, Marc Bienstock, Ashwin Rajan, Steven Schneider; origine: USA, 2024; durata: 105 minuti; distribuzione: Warner Bros. Italia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *