Una madre, una figlia di Mahamat-Saleh Haroun

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Una madre, una figlia del  regista e sceneggiatore Mahamat-Saleh Haroun ovverosia Un affare di donne, come intitolava Claude Chabrol nel 1988 il suo film sull’aborto con Isabelle Huppert protagonista nel ruolo di una donna che si trova ad aiutare altre donne a abortire durante il nazismo. Tutt’altro contesto dalla Francia durante l’occupazione nazista, l’oggi nella periferia di N’djaména, la capitale del Ciad, dove però, ugualmente a circa ottant’anni fa, l’aborto è illegale (rimase tale in Italia, per la cronaca, fino alla legalizzazione attraverso legge 194 nel 1978).

In tali circostanze sfavorevoli e contrarie alle donne si svolge la minima vicenda di Amina, ragazza madre ripudiata dalla famiglia, e di sua figlia Maria, sfortunatamente rimasta incinta a quindici anni. Una madre, una figlia in originale Lingui – parola che nei sottotitoli viene tradotta come legami familiari, di sangue – parla di forza femminile, di rinascita, di onore, di sorellanza.

In un mondo patriarcale di religione islamica a prevalenza maschile in ogni luogo – dalla moschea alla compravendita, dallo strozzinaggio alla medicina – due donne affrontano il rischio della vita (al costo di perderla per non darla: un grande conflitto primario che è diritto, e non dovere, femminile) per avere un destino diverso. Che il destino di una madre ricada su quello della figlia è un detto che viaggia tra paesi e abitudini diverse, separate ognuna da chilometri e chilometri, da generazioni e generazioni. È per spezzare questa catena disumana e brutale, per non dire ottusa, che Amina, Maria, Fanta, le donne che si spendono ad aiutarle, cadono e si rialzano, fuggono e ritornano, si bagnano in un fiume con intenzioni alla Virginia Woolf, ritrovano il senso di comunità in un sorriso in più tra di loro.

Le cose vengono dette chiare e dirette, in viso: “non voglio diventare come te, mamma”. E la reazione non è offesa come accadrebbe in qualunque famiglia borghese occidentale, piuttosto una presa di coscienza della maturità della ragazza quindicenne, un desiderio obbligato di trovare il modo di donarle una possibilità differente da quella vissuta come ragazza madre senza marito da Amina. Coraggio e empatia, umiltà e lealtà anche verso chi si conosce poco: la donna che pratica aborti tituba: “Non ce la posso fare, succedono degli incidenti, è già successo” e in risposta Amina lascia parlare una parte dentro di sé che non ha che fare con il raziocinio o la legalità, quanto con l’anima e l’istinto, quello che non fa sbagliare: “mi fido di te”.

Sorelle di sangue, sorelle di cuore, sorelle naturali biologiche di sentimento, madri, figlie, una compatta compagine di donne africane alle prese non solo con aborti illegali ma anche con l’esportazione del clitoride, una tra le più violente pratiche di mutilazione sessuale, voluta dall’uomo e subita dalla donna. La repressione del piacere femminile, lo stupro tra vicini di casa, la predominanza del più forte sul più debole: i presupposti per una società arretrata e culturalmente sotto i livelli minimi di una giustizia sociale.

Passato in Concorso alla scorso Festival di Cannes e in Italia a quello di Torino, il maestoso film del cineasta ciadiano Mahamat-Saleh Haroun  – più volte premiato a Venezia –  è girato in campi lunghi lenti e fissi, alternati a inquadrature in primo piano di Amina, la madre, sul cui viso passano tutte le emozioni che una madre può provare per alleviare il dolore di una figlia; negli occhi di Maria, risoluta e orgogliosa, bella e consapevole, pratica e spaventata.

Le figure maschili positive sono quasi del tutto assenti, a parte il medico che pratica aborti illegali lontano dal centro ma in una clinica appartata, scelta apposta. Il finale – un grande colpo di scena – scompagina le poche sicurezze che Amina credeva di avere. Occhi negli occhi, appoggiate a riprendere fiato contro mura di argilla, forti e friabili come loro, madre e figlia si sorridono: “Ce ne andiamo da questo quartiere”. Buio.

In sala dal 14 aprile e in anteprima al cinema Quattro Fontane di Roma domenica 10 alle ore 11.00 in versione originale sottotitolata.


Cast & Credits

Una madre, una figlia (Lingui) Regia e sceneggiatura: Mahamat-Saleh Haroun;  fotografia: Mathieu Giombini; montaggio: Marie-Hélène Dozo; musica: Wasic DIOP; interpreti: Achouackh Abakar Souleymane (Amina), Rihane Khalil Alio (Maria), Youssouf Djaoro (Brahim), Briya Gomdigue (Fanta), Hadjé Fatimé Ngoua (la levatrice); produzione: Florence Stern per Pili Films, Made In Germany Filmproduktion, Beluga Tree, Goï Goï Productions (TD); origine: Francia, Chad, Germania, Belgio, 2021; durata: 87′; distribuzione: Academy Two.

 

 

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