Incipit con una voce infantile che fuori campo parla su dei disegni da bambino: “In un prossimo futuro, quando la terra aveva esaurito le sue risorse, comparve nel cielo un pianeta sconosciuto: la Luna rossa. Per anni l’umanità sfruttò la sua nuova energia, la cosiddetta ‘Lumina’. Tuttavia, un giorno la Luna rossa mutò il suo corso puntando verso la terra, protetta da un campo magnetico impenetrabile. Solo un astronauta sarebbe stato in grado di deviare il pericolo imminente. Ma quando era in procinto per partire per la sua missione, sparì di circolazione…”.
È così che inizia il film dello scrittore e sceneggiatore francese Romain Quirot, qui alla sua prima prova dietro la macchina da presa con Le dernier voyage che in italiano esce ora in sala con il titolo L’ultimo giorno sulla terra – aveva vinto come miglior film il Festival di Stiges del 2020 e aperto il recente Science+Fiction di Trieste del 2021.
Pur essendo stati i francesi dei pionieri in letteratura (Jules Verne) o nel cinema delle origini con Georges Méliès (per esempio il celebre Viaggio nella Luna/Le Voyage dans la Lune del 1902), facciamo fatica – sarà la nostra memoria appannata dall’età – a trovare dei grandi film di S.F in campo transalpino.
Ci viene in mente il Jean-Luc Godard di Agente Lemmy Caution: missione Alphaville (1965) oppure il molto più mediocre Il quinto elemento (1997) di Luc Besson che con le sue macchine senza ruote ha costituito uno dei modelli visivi del film di Quirot che già nel 2015 aveva realizzato un cortometraggio dallo stesso titolo e dallo stesso tema.
Ma la principale fonte di ispirazione dell’autore è stata – a suo dire – il seminale Blade Runner (1982) di Ridley Scott “che ha costituto un momento fondamentale di transizione nella mia vita di cinefilo. Mi si sono aperti gli occhi sull’esistenza di film molto meno manichei e più complessi. E sull’importanza dell’universo. È qualcosa che mi affascina: creare un universo in cui portare dentro lo spettatore.”
Detto ciò, non abbiamo l’impressione – ma certamente ogni sbaglio è possibile e umano – che L’ultimo giorno sulla terra potrà restare a lungo impresso nelle pagine della storia del cinema di S.F. anche solo francese.
Dopo l’incipit – per altro promettente – di cui sopra, l’astronauta Paul (Hugo Becker) non intende – chissà come mai visto che sembra un eroe perfetto – compiere l’impresa di salvare l’umanità e fa perdere le sue tracce alle autorità. Le quali lo cercano disperatamente per obbligarlo, con le buone o con le cattive, a intraprendere la missione salvifica di pilotare una missione spaziale che dovrebbe deviare l’impatto con la Luna rossa.
In una terra ormai desertificata dal progressivo avvicinarsi della minaccia spaziale, il protagonista si imbatte allora nella giovanissima Elma (Lya Oussadit-Lessert), che lo riconosce e lo obbliga a prenderlo con lui nella sua fuga disperata. Nel frattempo, cominciamo a capire i risvolti psicanalitici del film, tramite dei flash-back in bianco e nero (chissà come mai la psicanalisi è in b&n?). Così veniamo a conoscere l’infanzia di Paul, i suoi rapporti con il fratello Elliott (Paul Hamy) che poi ricomparirà rivelandosi piuttosto pericoloso e pazzoide oltre che rancoroso, con una madre amorevole che però muore subito ma soprattutto con il padre che, a ben vedere, si rivela essere il vero villain di tutta la storia – e chi se non un mellifluo e apparentemente pacioso e razionale Jean Reno? È lui, infatti, l’imprenditore a capo dell’impresa che aveva sfruttato la Luna rossa e che poi ha costruito il razzo con cui il figlio ribelle – unico astronauta in grado di compiere la missione – potrebbe salvare la terra dalla vendicativa Luna rossa che la punta.
Paul, dunque, non sta scappando, in modo codardo, da un compito storico, ma dal suo passato piuttosto terribile, da un trauma paterno, uscendone con la precisa e maturata convinzione che il pianeta rosso non dovesse essere né toccato né sfruttato…
Così, più che un film d’azione (ed infatti di azione ce n’è abbastanza poca), L’ultimo giorno sulla terra rappresenta una sorta di ripensamento etico-ecologista, a dire il vero abbastanza modesto e scontato, sul fatale esito dello sfruttamento inconsulto dell’uomo sulla natura.
Certamente nella nostra epoca di pandemia e di riflessioni filosofiche sul destino del pianeta Terra, l’epos edipico di Romain Quirot in qualche maniera batte su un nervo dolente dei nostri tempi – e lo testimonia anche il grande rifiorire attuale di opere apocalittiche e di fantascienza. Ma il suo film, a parte qualche sequenza più riuscita e interessante, poco contribuisce a capire come le ragioni della salute e della salvezza nel mondo di oggi e di domani, troppo siano assoggettate a quelle dell’economia e dalla cupidigia umana. O almeno questo era ciò che, in questa debole parabola ecologista, intendeva comunicarci l’autore francese.
In sala dal 20 gennaio 2022
L’ultimo giorno sulla terra/ Le dernier voyage – Regia: Romain Quirot; sceneggiatura: Romain Quirot, Antoine Jaunin, Laurent Turne; fotografia: Jean-Paul Agostini; montaggio: Romain Quirot; musica: Etienne Forget; scenografia: Olivier Seiler; interpreti: Hugo Becker (Paul W.R.), Jean Reno (il padre di Paul), Paul Hamy (Elliott), Lya Oussadit-Lessert (Elma), Sonia Okacha, Bruno Lochet, Emilie Gavois-Kahn, Philippe Katerine, Darius Garrivier, Jean-Baptiste Blanc, Jean-Luc Couchard; produzione: Fannie Pailloux e David Danesi per Apaches, OCS, Ciné+; origine: Francia, 2020; durata: 87’; distribuzione: Notorious Pictures.