Vedere un film di Robert Guédiguian è come tornare a casa: si riconoscono volti amici su cui il tempo ha lasciato nuovi segni, ci si crogiola nel sentimento di solidarietà per i guai, le sfide, gli amori che i personaggi provano sulla pelle, senza protezione. Noi spettatori diventiamo un giovane uomo che lavora in campo immobiliare ancora risentito col padre perché ha lasciato la madre, morta poco tempo dopo; diventiamo la cassiera onesta che si lascia travolgere in una imprevista passione d’amore mentre stava tentando di risolvere una questione aperta dalla madre; diventiamo chi ogni giorno ripete un rituale di nessuna inutilità pur di trovare un minimo conforto. Il cinema dell’ultimo Guédiguian è un cinema empatico, al cui richiamo non ci si può sottrarre, ci si rigira sulla sedia da spettatore e ci si mette in gioco assieme ai personaggi protagonisti della storia. Così anche questa La pie voleuse (che in italiano si intitolerà appunto La gazza ladra).
È una bella mattina di sole. Maria (Ariane Ascaride) fa la spesa al mercato. È sorridente e allegra, chiacchiera con la pescivendola riguardo alla freschezza dei filetti di branzino. Sono per il re, a lui piacciono freschissimi. Le due donne si sono simpatiche, scherzano con familiarità. Per pagare Maria completa un assegno già firmato da qualcun altro, colui che si nutrirà di quel pescato. Più tardi Maria tornerà a prendere anche le sue adorate ostriche, come al solito.
La donna arriva a casa di Monsieur Moreau (Jean-Pierre Darroussin), un settantenne dall’aria colta che vive da solo in una casa con giardino con vista sul mare: si sposta su una sedia a rotelle, autonomo nella quattro mura domestiche. Maria si prende cura di lui, facendo la spesa, le pulizie e preparando da mangiare. L’uomo, un professore universitario in pensione, la tratta con confidenza, fidandosi di lei da anni. Maria è una badante che si prende cura sinceramente degli anziani che segue: il professore invalido, una donna con problemi di memoria e un cane chiamato Cornelius, una coppia che ogni pomeriggio va alla “pasticceria buona” all’angolo perché la moglie anziana ancora attende un amore andato in guerra. L’anziano marito dice senza rammarico: Non mi ha mai amato ma va bene lo stesso. E la accompagna amorevolmente ogni giorno al suo appuntamento col passato.
Maria, con abilità da gioco ad incastro, non esita a trattenere una parte del resto della spesa da ognuno dei suoi assistiti, toglie loro qualcosa senza che se ne avvedano, senza che ne subiscano un torto nella vita pratica: hanno più di lei, in questo modo lei ha qualcosa in più.
Mentre cammina per le stradine del quartiere L’Estaque di Marsiglia la donna ascolta musica classica nelle cuffie. Incoraggia il talento musicale di suo nipote, al quale ha preso a noleggio un pianoforte per farlo esercitare per l’esame al conservatorio, lasciando come caparra al negozio di strumenti musicali un assegno del professore in pensione. A casa la aspetta un marito che ama il gioco d’azzardo, con il quale non condivide i suoi segreti. È una donna che agisce, che sa come sbrigarsela, come non esita a dire alla figlia a mo’ di giustificazione. Ama degustare ostriche davanti al mare con un sottofondo di Rubinstein che esegue Liszt. Ama la famiglia, agisce in buona fede. I suoi sentimenti sono puri, le azioni si ricalibrano in base alle necessità.
La vita è cambiata, le persone sono mutate, i bisogni continuano a esistere e non si sa più come sopravvivere. Senza vittimismo, sopita la rabbia sociale, i personaggi si muovono nella loro esistenza dando peso alle relazioni, vivendo i rapporti interpersonali come cruciali: la nonna Maria stravede per il nipote fino a truffare blandamente per lui, per quel che a lei sembra primario per il suo futuro; il signor Moreau è pronto a mentire pur di continuare a essere accudito da Maria; il marito tradito vede la moglie flirtare davanti al cinema ma, a patto che lei torni, non la lascerà. Si scende a compromessi, ci si salva all’ultimo momento, per buona sorte, si ama fino a commettere grossi errori.
Il senso della famiglia sostituisce la fede politica, la lotta diventa sopravvivenza, la capacità di sognare va più lontano che mai.
Con una fotografia solare in una Marsiglia accesa, dialoghi fondanti senza appesantire, una volontà di volare sulle note della musica, La pie voleuse (nome del negozio di strumenti musicali da cui parte tutto) accarezza con lievità i personaggi e i giorni in cui le loro vite vengono messe sotto sopra: è vitale scombussolare tutto, è vitale credere nel potere del cambiamento, non è punibile l’anelito a godere delle belle cose. Maria non è dunque vista attraverso una lente di riprovazione morale: lei è quello che è, ha un cuore grande in cui riesce a conciliare lo spirito di solidarietà umana con l’urgenza di soddisfare i desideri dei suoi cari. La povera gente di Victor Hugo – la cui trama è usata al commissariato da Moreau per scagionare la badante – è pronta ad accogliere una nuova bocca da sfamare nonostante il cibo sia insufficiente. Immaginiamo un mondo che vada in questa direzione di generosità e comunanza.
La gazza ladra (La pie voleuse)– Regia: Robert Guédiguian; sceneggiatura: Robert Guédiguian, Serge Valletti; fotografia: Pierre Milon; montaggio: Bernard Sassia; interpreti: Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Marilou Aussilloux, Grégoire Leprince-Ringuet, Robinson Stévenin; produzione: Agat Films & Cie; origine: Francia, 2024; durata: 101 minuti; distribuzione: Officine Ubu.