Festival di Venezia (28 agosto – 7 settembre 2024): Bestiari, erbari, lapidari di Massimo d’Anolfi, Martina Parenti (Fuori Concorso)

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È diviso in tre capitoli, Bestiari, Erbari, Lapidari, di Massimo d’Anolfi e Martina Parenti – già autori di Spira Mirabilis – presentato Fuori concorso alla Mostra di Venezia del 20216, documentario di notevole valore e portata teorica.

Se nel primo dei tre capitoli, dal titolo Bestiari: il cinema inventa nuove gabbie, rifacendosi alla pratica in uso sin dal medioevo di catalogazione animale, viene analizzato quale sia il rapporto che intercorre tra gli animali, appunto, l’uomo e il cinema, sin dagli esperimenti portati avanti da Edward Muybridge incentrati sullo studio del movimento animale, nel secondo di essi, Erbari: la cura, viene analizzato il rapporto tra il mondo vegetale e l’uomo, per terminare con Lapidari: i fossili del futuro nel quale ci viene mostrata la realizzazione delle pietre di inciampo.

Nel vastissimo catalogo di immagini e filmati di repertorio, riscoperte dalla coppia di registi, emerge con grande forza quella che è la loro dichiarazione di intenti, ovvero di realizzare un racconto che “ha una struttura narrativa che combina pensiero razionale ed emotivo”.

In Bestiari: il cinema inventa nuove gabbie, a essere messo in discussione è il punto di vista antropocentrico di tali immagini, e dunque anche del cinema, come risulta evidente dai filmati che documentano, per esempio, la spedizione al Polo Sud di Roald Amundsen, oppure alcune battute di caccia nella savana africana o, infine, gli scenari di guerra, dove gli animali venivano utilizzati, ripresi e cacciati.

Si tratta per lo più di immagini in b/n appartenenti alla prima metà del secolo scorso, la cui utilità scientifica viene messa in discussione da parte della coppia di registi. Il limite maggiore di questi proto-documentari è lo slittamento del punto di vista, da cui emerge che la vita animale, colta in cattività o nei propri habitat naturali, è sempre subordinata e subalterna all’uomo che li riprende. Prova ne sono le sequenze filmate che documentano le battute di caccia sopra citate, in cui a emergere con chiarezza è l’ideologica doppia valenza di cui si carica il verbo inglese to shoot: sparare, ma anche riprendere. A queste immagini, fanno da contrappunto, soprattutto emotivo, quelle moderne con Mdp fissa che documentano operazioni chirurgiche agli arti e al cuore di animali malati. Sebbene queste ultime abbiano un punto di vista neutro, generano paradossalmente più angoscia nello spettatore rispetto alle prime, ove gli animali, privati di identità, erano sottoposti a quelle che oggi definiremmo come torture.

Non dissimile è l’enunciato di Erbari: la Cura, in cui, partendo da immagini filmate all’interno dell’orto botanico di Padova – il più antico del mondo, fondato nel 1545 – le immagini che riprendono l’incessante lavoro degli operatori, spesso prive di commento umano tranne sporadici inserti in voce-off grazie ai quali apprendiamo che tra le forme di vita che popolano il pianeta, quella vegetale cuba il 97% del totale. Del restante tre percento di vita animale, l’uomo non costituisce che un ulteriore sottoinsieme. Anche volendo, l’uomo non avrebbe possibilità di cancellare la vita vegetale dalla terra.  Potrebbe, nel caso peggiore, cancellare solamente se stesso, facendo ricorso alla guerra. E proprio di guerra, con le sue persecuzioni, le sue immagini di morte poste in relazione all’atto del ricordare, alla memoria, parla Lapidari: i fossili del futuro. Partendo da un moderno cementificio, assistiamo alla lenta e rituale realizzazione delle pietre di inciampo, ciascuna di esse fabbricata in memoria delle persone uccise all’interno dei campi di concentramento, sino alla loro collocazione a terra.

Una ritualità che, come il ricordo delle persone scomparse durante la Shoah, di cui le pietre si fanno testimonianza, il cinema può contribuire meritoriamente a tramandare.


Bestiari, Erbari, Lapidari – Regia: Massimo d’Anolfi, Martina Parenti; sceneggiatura: Massimo D’Anolfi, Martina Parenti; fotografia: Massimo D’Anolfi; montaggio: Massimo D’Anolfi, Martina Parenti; musiche: Massimo Mariani; produzione: Montmorency Film (Martina Parenti, Massimo D’Anolfi) – con Rai Cinema, Lomotion (David Fonjallaz, Louis Mataré), SRF Schweizer Radio und Fernsehen / SRG SSR – con il supporto di MIC, Eurimages, PR FESR Lombardia 2021- 2027 – Bando “Lombardia per il cinema”, Berner Filmförderung Burgergemeinde Bern – in associazione con Luce Cinecittà – con la partecipazione di Eye Filmmuseum Cinémathèque Suisse; origine: Italia/ Svizzera, 2024; durata: 206 minuti; distribuzione: Cinecittà Luce.

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