Il colore viola di Blitz Bazawule

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“Push the button (Push the button)
Push the button (Push the button)
You gotta push it if you wanna come in, woah”.

 

Trattandosi di un bollente blues cantato da una nera sensuale, licenziosa, vestita di rosso e di piume, avrete capito quale sia il bottone da “premere” a dovere per entrare da qualche parte: credo che il doppio senso non abbia bisogno di spiegazioni. “Push Da Button”, scritto così, è forse il numero musicale più travolgente del film Il colore viola. Anticipo la domanda: era proprio necessario rifare il famoso film diretto da Steven Spielberg nel 1985, quasi quarant’anni fa? A occhio no, ma poi l’ho visto, temendo i 141 minuti annunciati, e mi sono detto di sì. Anche perché sono lo stesso Spielberg e l’amica Oprah Winfrey, che nella versione originale incarnava la ribelle Sofia, ad aver prodotto questo vivace rifacimento in forma di musical, affidando la regia al ghanese Blitz Bazawule e utilizzando un rodato spettacolo nato a Broadway nel 2005 (libretto di Marsha Norman, musiche di Brenda Russell, Allee Willis e Stephen Bray).

Lo so, il trailer italiano fa di tutto per nascondere allo spettatore la dimensione canterina del film, ma forse è meglio saperlo prima; anche perché le canzoni sono splendide e la forza originaria del film, una triste e desolata storia di sorelle afroamericane nella Georgia tra il 1909 e il 1947, non risulta affatto dispersa. Almeno così a me pare. Di sicuro, però, il doppiaggio introduce qualche scompenso vocale tra le parti parlate in italiano e quelle cantate in inglese, sicché il consiglio è sempre lo stesso: se lo trovate nella versione originale con sottotitoli, be’ pigliate quella.

Il romanzo epistolare di Alice Walker, premio Pulitzer 1982, non viene stravolto dal remake, anche se certo la pagina scritta, con la negletta protagonista che scrive lettere al suo “caro Dio” per raccontare fardelli e sofferenze, gioca una diversa partita.

“Secondo me Dio s’incazza se passi davanti al colore viola in un campo qualunque e non ci fai caso” dice Celie, appunto la protagonista, nel libro appena ristampato dalle Edizioni SUR (Roma) per l’uscita del film. Il colore viola indica la bellezza semplice di un fiore o di un manto erboso, l’armonia da cogliere anche quando va tutto male o peggio. E a Celie va tutto male, sin da adolescente. Il padre commerciante e stupratore le sottrae, per darli in adozione su compenso, i figli partoriti a breve distanza l’uno dall’altra dalla fanciulla, Adam e Olive; e quasi subito alla poveretta tocca sposare un uomo manesco, un certo Alberto detto “Mister”, che la prende in casa come una sguattera da usare ogni tanto per fare del sesso. Celie ha una sorella minore, Nettie, ma “Mister” ci prova anche con lei e poi la caccia di casa, offeso per il rifiuto.

Scandito da circa trenta canzoni e vari cartelli a indicare lo scorrere degli anni, Il colore viola si arricchisce via via di personaggi a forti tinte, a ricordare, nella Georgia bianca e razzista, anche il maschilismo patriarcale dei neri, la loro natura tirannica e violenta, non troppo dissimile da quanto accade in C’è ancora domani di Paola Cortellesi. Tutti gli uomini però pendono dalle labbra vermiglie di Shug Avery, la formidabile cantante blues di Memphis, quella del “bottone” di cui sopra, ricca, tornita e orgogliosa, forse anche un po’ lesbica anche se manda gli uomini su di giri. Lei si prenderà cura di Celie, spingendola, dopo tante vessazioni subite, a prendere in mano il proprio destino e trasformarsi in una donna di successo. Il resto meglio non dirlo.

“Faremo meglio a reagire, finché siamo ancora vive”: questo il sottotesto che anima Il colore viola, il senso più profondo della storia, ora aspra ora toccante (alla fine mi sono scoperto a versare una lacrima), intessuta di una spiritualità religiosa, evangelica, quasi “gospel” per restare in fatto di musica, benissimo restituita. Non so se il numero coreografato con il pastore nero che canta alla maniera di James Brown, in un crescendo quasi dionisiaco, sia un omaggio al film The Blues Brothers; ma in ogni caso Il colore viola, se preso per il verso giusto, senza impazienza, intreccia un condivisibile messaggio “femminista”, ottima musica e radici africane.

Fantasia Barrino, nel ruolo che fu di Whoopi Goldberg, fa di Celie una eroina/vittima schiacciata dagli eventi e dalla condizione sociale, mentre Taraji P. Henson rende Shug Avery, una specie di Ma Rainey più avvenente, il prototipo della donna nera capace di emanciparsi, usando ogni mezzo di seduzione. Nel cast anche Colman Domingo, Danielle Brooks e la cantante Ciara rispettivamente nei ruoli di “Mister”, Sofia e Nettie. Bello l’incipit all’insegna di un solitario banjo pizzicato da un uomo a cavallo: sembra un tipo soave, invece si rivelerà una bestia.

Qui sotto, Taraji P. Henson canta “Push Da Button” nel film.

In sala dal 8 febbraio 2024


 Il colore viola (The Color Purple) – Regia: Blitz Bazawule; soggetto: dal romanzo Il colore viola di Alice Walker e dal musical di Marsha Norman, Brenda Russell, Allee Willis e Stephen Bray; sceneggiatura: Marcus Gardley, Marsha Norman; fotografia: Dan Laustsen; montaggio: Jon Poll; musica: Kris Bowers; scenografia: Paul D. Austerberry; costumi: Francine Jamison-Tanchuck; interpreti: Fantasia Barrino, Halle Bailey, Taraji P. Henson, H.E.R., Danielle Brooks, Colman Domingo, Corey Hawkins, Deon Cole, Aunjanue Ellis, Elizabeth Marvel, Louis Gossett Jr., David Alan Grier, Ciara, Stephen Hill; produzione: Oprah Winfrey, Steven Spielberg, Scott Sanders, Quincy Jones per Amblin Entertainment, Harpo Films, Scott Sanders Productions, Warner Bros; origine: Usa, 2023; durata: 141 minuti; distribuzione: Warner Bros Italia.

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