Kissing Gorbaciov di Andrea Paco Mariani e Luigi D’Alife

  • Voto

Se questo pezzo fosse uscito vent’anni fa, non avremmo dovuto nemmeno spiegare chi erano o cosa hanno rappresentato i CCCP-Fedeli alla linea nella scena musicale e culturale italiana, e non lo faremo nemmeno qui, diremo solo che furono probabilmente la più importante ed influente band punk underground italiana, musicalmente eversivi, intellettualmente preparati, alimentati da forze anarchiche e caotiche, e dal rifiuto delle stesse, filosovietici ma anche in costante rottura con il regime ideologico e culturale costituito, con una precisa e vitale coscienza sociale e consapevolezza della loro unicità. Contaminazioni teatrali, metafisiche e mistiche trovarono in loro una sintesi assolutamente inedita, un’esperienza che non trova simili e che non fu mai più ripresa né imitata, tale fu la sua singolarità. 

Praticamente tutto ciò che una band, al giorno d’oggi, non può più essere, neppure volendo, perché, come dice Giovanni Lindo Ferretti, la musica oggi è, e non può essere altro, che puro intrattenimento. 

Kissing Gorbaciov racconta di un episodio in particolare, che vide coinvolti oltre ai CCCP, altre band italiane dell’epoca, uno scambio tra Italia e Russia senza precedenti, nato all’interno di una congiuntura temporale che ha caricato enormemente il suo significato simbolico.  

Siamo nel 1988, comincia la grande primavera russa, l’apertura al mondo occidentale, la politica denominata Perestroika, portata avanti da Mikhail Gorbachev (o Gorbaciov), personaggio cruciale, amatissimo all’estero e contestatissimo in patria, che cambiò per sempre il volto della Russia. Le idi di Marzo, questo il nome dell’evento leggendario, un festival musicale la cui prima fase ebbe luogo nel paesino di Melpignano, in Salento. in quell’occasione vennero invitate band russe, che per la prima volta suonarono fuori dall’Unione Sovietica con la benedizione dello stesso Gorbaciov, che, una volta venuto a conoscenza del progetto, decise di sostenerlo e finanziarlo. La seconda parte dell’evento prevedeva invece il tour delle band italiane in Unione Sovietica. Gli alfieri prescelti per l’avventura furono i Litfiba, i CCCP, Rats, Mysta & Missis. il documentario raccoglie testimonianze tra i membri delle band, (Litfiba esclusi), gli organizzatori del festival, critici musicali e giornalisti, russi ed italiani, con riflessioni ed interviste ricche di racconti, ricordi ed aneddoti: l’incontro tra i CCCP e i Litfiba, le performance teatrali improvvisate di Annarella sulle scale di San Basilio nella piazza rossa, davanti alla tv russa e ad un pubblico di passanti curiosi ed increduli, gli incredibili viaggi sui treni russi, le provocazioni di Piero Pelù, che girava con in testa un colbacco di visone, come Gengis Kahn; racconti di personaggi che ancora stentano credere all’esperienza che li ha visti protagonisti. 

L’impressione che lascia questo documentario è profonda e i meriti vanno agli autori che hanno saputo fare emergere i personaggi con commenti visivi, immagini di repertorio, inserti di telegiornali sovietici, filmati d’archivio. In altre parole, avevano del materiale estremamente prezioso tra le mani, e sono stati capaci di maneggiarlo, ed arricchirlo, con grande cura. Rinunciando, è vero, alle possibilità esplorate da lavori precedenti che hanno visto come oggetto i CCCP,(Germano Maccioni utilizzò spezzoni di Pudovkin nel suo Fedele alla linea; Davide Ferrario, con il suo Sul 45 Parallelo, scelse un approccio più intimista, cercando traiettorie spirituali e geografiche, e l’ipnosi nell’immagine). Ma qui, sebbene siano loro il pezzo da novanta, non si trattava di parlare dei CCCP, ma di un evento storico irripetibile. 

Unico appunto che possiamo fare: una voce narrante del tutto superflua, che compare in tre momenti, (purtroppo anche nel finale) e che, con una cadenza leggermente posticcia, cerca, senza mai trovarla, una cifra di lirismo romantico e superficiale, (il che non pregiudica assolutamente la riuscita finale del doc, dato che stiamo parlando di cinque minuti in tutto). 

Rivedere i CCCP intervistati nella loro formazione originaria, uno di fianco all’altro, dopo tanti anni, fa un certo effetto, il documentario li introduce tramite una straordinaria ellissi in cui vediamo la formazione posare per un video dell’epoca, e con uno stacco di quasi quarant’anni li rivediamo, nella stessa identica posizione, con gli stessi identici abiti. L’allestimento scenografico minimale e la disposizione dei quattro intervistati possiede una qualità quasi pittorica.  

La vera avventura cominciò una volta che venne intrapreso il viaggio in Russia, e i protagonisti videro con i loro occhi una realtà di cui per anni hanno sentito parlare, videro la solennità e lo sfarzo di una città come Mosca, ma videro anche la profonda contraddizione che si celava dietro a quella facciata: appena fuori dalla grande capitale, vi era un popolo sterminato che viveva in condizioni di estrema povertà. Si trasferiranno poi a Leningrado (l’attuale San Pietroburgo) dove troveranno un’atmosfera più affine a loro, ma è a Mosca che si verificò l’episodio che rappresenterà il grande cortocircuito: quel famoso concerto in cui i CCCP suonarono A ja ljublju SSSR, con l’incipit che riprende l’inno russo, ed una sterminata platea di soldati sovietici che scattarono immediatamente sull’attenti a fare il saluto, omaggiando così la patria ma anche, senza saperlo, un brano tratto da un disco chiamato Socialismo e Barbarie.

Fa un certo effetto ripensare ad un’epoca in cui una band come i CCCP ha potuto militare e avere una risonanza nell’immaginario collettivo. Nel mondo attuale il ruolo della musica non può più incarnare quella forza, non è più politico, non sente più questa responsabilità. E non perché la necessità sia venuta meno, ma perché non è più possibile esprimerla a livello collettivo quando si vive in una realtà mediatica che intercetta ed assimila subito, distorcendola, la carica eversiva del singolo. non rimane più energia per poter coltivare un ambiente sotterraneo, quell’underground in cui si muovevano entità instabili come i CCCP. 

Ma, come sempre, verranno nuovi linguaggi, nuovi profeti, e nuove rivolte, nel frattempo, ci riascoltiamo Epica Etica Etnica Pathos. 

In anteprima al Festival dei Popoli
In sala dal 23 novembre


Kissing Gorbaciov -regia: Luigi D’alife, Andrea Paco Mariani; sceneggiatura: Luigi D’alife, Andrea Paco Mariani, Roberto Zinzi; musica: Claudio Cadei; montaggio: Roberto Zinzi; fotografia: Nicola Lucchese, Salvo Zambelli; cast: CCCP – Fedeli alla linea, Sergio Blasi, Antonio Princigalli, Gino Castaldo, Alba Solaro, Francesco Costantini, Artemij Troickij, RATS, Mista & Missis; produzione: SMK Factory in collaborazione con AAMOD; origine: Italia, 2023; durata: 97 minuti; distribuzione: OpenDDB. 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *