La terra delle donne di Marisa Vallone

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La guerra è finita, ma in un’isola il tempo si fa i fatti suoi. Ha sue tradizioni e magie che travalicano lo stato presente umano, si riallacciano a un legame con la natura che tutti hanno e qualcuno ha in modo particolare, soprattutto una coga. Colei a cui

Nessuno vuole bene, perché sei una disgrazia!

La terra delle donne per la regia di Marisa Vallone prova a immergersi a piene mani in terra sarda con personaggi dall’esistenza di piombo, e se alcune cose le azzecca, altre le individua ma non le riesce poi a mettere a fuoco. Certo, la Sardegna e il rapporto che si ha con quella terra è messa in luce e funziona, come funziona la forza dei personaggi principali – meno dei secondari – che rientrano in posizioni ben riconoscibili ed efficaci. Meno azzeccata è la vicenda, con alcuni momenti didascalici o tanto forti da risultare in realtà deboli nell’ottica generale. Il sapore che si ha all’uscita dalla sala è di un lavoro profondo e pesante che avrebbe dovuto ricercare nella terra sarda il suo scioglimento e invece si ferma prima, senza fidarsi appieno del terreno nel quale si è deciso di stabilirsi ma preferendo rilanci favolistici che si perdono nell’astratto.

Sardegna, 1929. Fidela (Paola Sini) è la settima di sette figli e nella tradizione sarda a lei tocca l’esclusione dalle foto di famiglia e l’avviamento sulla strada della magia. Perché lei è una coga, e se sia una coga buona o una coga mala, tocca a lei sceglierglielo. Rifiutata dalla famiglia, messa in una caverna con una gallina e un libro perché impari le arti magiche, viene avvicinata da un uomo che la rifiuterà e dalla sorella Marianna (Valentina Lodovini), che a sua volta vive il dramma dell’amenorrea e cerca soluzioni in ogni dove. Marianna giungerà in Belgio, alla clinica di un medico giapponese e del suo figlioccio James, Fidela non si muoverà invece dalla propria terra e con la Sardegna avvierà un legame strettissimo. Perché lei

Concia le pelli delle bestie, parla con l’acqua e fa nascere i bambini.

E quando le chiedono:

e dove sono i tuoi bambini?

La risposta non la dà lei, ma il paese stesso quando le viene affidata Bastiana (Syama Rayner), anche lei settima figlia femmina – nonché illegittima perché figlia dell’America – e quindi destinata a essere coga. Bastiana e Fidela crescono insieme, Marianna torna senza aver apparentemente risolto il suo problema e il tempo corre senza mai arrivare a un dunque. Almeno finché i nodi non vengono al pettine e l’acqua non richiede il proprio tributo.

Che la Sardegna viva negli ultimi anni una riscoperta cinematografica è qualcosa di interessante e splendido al contempo. Se Bonifacio Angius ci porta la Sardegna contemporanea con la sua visione flemmatica – Perfidia (2014), Ovunque proteggimi (2018), I giganti (2021) – e nel 2021 Matteo Fresi ci dava quello western sardo che era Il Muto di Gallura, questo ennesimo ritorno in terra sarda non può che essere apprezzato. È però proprio nel legame con la terra che il film vive i suoi picchi come i suoi bassi. La Sardegna ci viene mostrata, studiata attraverso una buona fotografia e cantata per mezzo di un buon soundtrack, eppure oltre non si va: rimane un diaframma che si muove avanti e indietro ma mai ci permette di immergerci pienamente e quando cerca il campo largo cade inevitabilmente nella trappola da cartolina piuttosto che nel fascino nostrano dell’inspiegabile e dello sconosciuto. E per fortuna c’è lei, Fidela, cioè Paola Sini, a ricordarcelo e a lei è andato il “Premio Mariangela Melato” per la miglior interpretazione femminile nella recente 14° Edizione del “Bif&st –  Bari International Film Festival” dove il film è stato mostrato in anteprima.

Il personaggio di Fidela è solido e funziona, come solidi sono Marianna, interpretato da Valentina Lodivini, e Syama Rayner nei panni di Bastiana. Ognuna di loro vive ottimamente il proprio dramma e quando la mdp ne ricerca l’espressione trova i momenti più convincenti. Sono invece i personaggi secondari, come Haber nel ruolo di Don Bacchisio che dovrebbe coprire la linea comica, e i personaggi di James e Mamoto che non funzionano a dovere, e la storia in generale fatica allora a staccarsi dai suoi personaggi più forti e rischia uno staticismo che viene spesso risolto con trovate favolistiche e quindi deboli se paragonate alla profondità della tradizione.

La terra delle donne è quindi un prodotto interessante ma viziato da debolezze disseminate per l’intera durata della pellicola. Si è forse voluto troppo e stretto poi poco. In alcuni momenti ricorda una Capri – Revolution  martoniana non pienamente riuscita e con un legame con la natura che lì era stato esplorato appieno, e qui invece rimane soltanto a livello folkloristico e risalta solo in alcune scene laddove il soundtrack dà una grande mano. Si apprezzino comunque alcuni movimenti di camera e la ricerca dei dettagli del corpo, certo citazionali, ma ben calati, come si apprezzano dei personaggi forti – forse troppo -, che con la dovuta insistenza e un lavoro sulla lingua più accurato avrebbero potuto restituire tanto di più. Perché la Sardegna è una terra altra, e ogni terra altra ha dalla sua un tempo che si fa i fatti suoi. Nel momento in cui tocca il continente perde di poetica, perde di magia. E una coga di magia ha bisogno.

Dal 27 aprile al cinema in Sardegna (www.laterradelledonneilfilm.it) e poi successivamente in tutta Italia


La terra delle donneregia: Marisa Vallone; sceneggiatura: Paola Sini; fotografia: Luca Coassin; montaggio: Francesco Garrone, Irene Vecchio; musiche: Louis Siciliano, Vittorio Giampietro; interpreti: Paola Sini, Valentina Lodovini, Jan Bijvoet, Syama Rayner, Hal Yamanouchi, Alessandro Haber, Freddie Fox; produzione: Fidela Film, Armeni G.E.S. Productions, New Time; origine: Italia, 2023; durata: 104’; distribuzione: Adler Entertainment.

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