Festival del cinema tedesco (Roma): Life is not a Competition, but I’m winning di Julia Fuhr Mann

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Da alcune primissime scene di Life is not a competition, but I’m winning, sembrano tornare alla memoria immagini da un film che ricordiamo esserci oggi assai lontano: I guerrieri della notte (The Warriors, 1979). Il che ci suona immediatamente strano, o almeno fuorviante rispetto a quel poco che sappiamo già del film, al punto tale che ci interroghiamo se i nostri occhi non stiano prendendo una svista. Un gruppo di persone, per lo più giovani, che se prima si avvicinano, con fare sospetto quanto un po’ aggressivo, dopo, dando le spalle alla macchina da presa, si allontanano con atteggiamento minaccioso verso chissà quali avventure e semmai conquiste. Le sequenze poi si alternano e il racconto prende forma e quelle immagini del film culto americano, piene di oscurità e forse di vendetta, lasciano spazio a una miriade di colori sempre più intesi che grazie anche ad un uso efficace della fotografia tende a rasserenare gli animi di noi spettatori. Eppure, il senso di sfida, di messa in discussione di tutto ciò che appare come regola rigida, di mostrare che se da un lato tutto ciò che sembra non corrisponde in fondo mai al vero, dall’altro sarebbe anche giunto il tempo di farla finita con il rimarcare, sempre e comunque prima d’ogni cosa, le dannate differenze. Non c’è bastato tutto il Novecento scorso, appunto, per non soggiornare più nei comodi salotti che si affollano di divari. E dunque così, in un lampo improvviso stavolta, sgorgano del nostro interno le immagini di Inseparabili (Dead Ringers, 1988) di David Cronenberg, grazie alle quali abbiamo toccato, prima con gli occhi e poi con le mani, l’inconsistenza abissale di un certo modo di approcciarci alle differenze che ci contraddistingue come esseri mortali comuni. Enrico Ghezzi, in una delle sue/nostre notti di fine anni ’90 (dunque anche di fine millennio e secolo), presentando un ciclo di film dedicato proprio al maestro canadese, si lasciò andare a una delle sue espressioni “brevi ma affossanti”: l’indifferenza alla differenza.

Bene, tornando a questo film della giovane regista tedesca Julia Fuhr Mann il tema come anche l’invito è di guardare al mondo umano senza più per forza pensarlo nelle sue distinzioni di genere, anzi chiedendo quasi l’abolizione del concetto-categoria della differenza. Anche se questo aspetto che è il nucleo centrale del film viene presentato in modo a-simbolico forse troppo evidente (e sappiamo bene che il più delle volte queste scelte rischiano di indebolire un’opera cinematografica), Life is not a competition, but I’m winning si segue con viva partecipazione. In particolare, è al mondo dello sport che Mann guarda, lo sport agonistico, quello olimpico soprattutto, che fa ancora fatica ad aggiornarsi e ad aprirsi anche agli atleti transgender a oggi ancora banditi dalle competizioni, provando a sovvertire così gli stereotipi che sembrano dominare ancora oggi le discipline olimpiche.

Il film ripercorre le storie di due atlete, le runner trans Amanda Reiter e Annet Negesa, costrette poi a sottoporsi a un intervento chirurgico irreversibile. In un mix di documenti, di finzione e di filmati d’archivio, il film tende a rintracciare il potenziale queer-femminista nelle discipline olimpiche in particolare della corsa. E qui l’intreccio tra storia e attualità, tra documenti d’epoca e urgenze contemporanee, ci pare la quadratura del cerchio. Infatti le immagini delle riprese risalenti alle performance olimpiche di Lina Radke (prima vincitrice in assoluto della medaglia d’oro negli 800 metri piani nel 1928 e pioniera di questa distanza che però fu subito bandita alle donne per essere poi riaperta solo nel 1960) e di Stella Walsh (campionessa olimpica dei 100 metri piani a Los Angeles nel 1932 che solo nel 1980 si scoprì essere nata con caratteristiche genetiche di entrambi i sessi) rendono ancora più credibile il messaggio del film. Vedere la forza e la determinazione di quelle atlete, il loro sudore come la loro fatica, i loro gesti ginnici alla ricerca del primato davvero sembrano senza tempo e fuoriescono dallo schermo per venirci incontro e invaderci dentro. We are the Champions cantava Freddie Mercury (è noto che questa canzone è diventata, da anni ormai, l’inno ufficiale della prestigiosa competizione calcistica europea organizzata dalla “UEFA Champions League”) infatti, dove non c’era spazio alcuno per i perdenti (i benpensanti?), e anche lì i campioni da premiare finalmente erano gli emarginati perché omossessuali o semplicemente non inquadrabili in quello che in una strofa di una nota canzone di De André è “l’ordine costituito”. Quando riusciremo a condividere un mondo non sorretto più da categorie di genere stereotipate? Questo si domanda in fondo la regista. E per rendere ciò almeno possibile bisogna costruire occasioni come questo film che ispirano i futuri combattenti. «La copertura mediatica – afferma la regista – sta diventando sempre più grande e così tante persone guardano la “Coppa del mondo di calcio femminile”, ma queste organizzazioni sono ancora gestite da uomini. Forse anche questo cambierà in futuro. Molti documentari si concentrano sul dolore, e per me sarebbe molto strano continuare su questa strada. Non voglio scoraggiare le persone o farle piangere di nuovo. Ecco perché combiniamo filmati footage con alcuni momenti di finzione. Volevo dimostrare che siamo tutti pronti per iniziare qualcosa di nuovo. E vogliamo che anche altri si uniscano a loro». Chi vivrà, vedrà. Ma davvero il tempo stringe “e la primavera tarda ad arrivare”.

Presentato in anteprima alla “Settimana della Critica” della Mostra di Venezia 2023


Life is not a Competition, but I’m winningRegia e sceneggiatura: Julia Fuhr Mann;  Fotografia: Caroline Spreitzenbart; Montaggio: Merit Giesen, Melanie Jilg, Julia Fuhr Mann; Compositing: Gerhard Auer; Digital Colourist: Andreas Lautil; Musica: Rhys Anderson, Nadja Issler; Sound Design: Cornelia Böhm; Interpreti: Amanda Reiter, Annet Negesa, Caitlin Fisher, Daniel Marin Medina, Chun Mei Tan, Eva Maria Jost, Jakob Levi Stahlberg, Oumou Aidara, Greta Graf; Produzione: Schuldenberg Films; Co-produzioni: ZDF/3sat, HFF München (Hochschule für Fernsehen und Film), funded by FilmFernsehFonds Bayern (FFF Bayern); Origine: Germania, 2023; Durata: 79 minuti.

 

 

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