Prima danza, poi pensa. Alla ricerca di Beckett di James Marsh

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“Lo sai che non c’è nulla di interessante nella gioia” scandisce Samuel Beckett, uno che non era proprio l’immagine della felicità, pure fisicamente, nel sottofinale di Prima danza, poi pensa, che arriva nelle sale giovedì 1° febbraio targato Bim. Dovrò consultare un beckettiano di ferro come il nostro amico Nicola Fano per sapere quanto di Beckett ci sia davvero in questo curioso film di James Marsh, quello di La teoria del tutto (2014) , scritto da Neil Forsyth. “Alla ricerca di Beckett” recita il sottotitolo italiano, per chiarire un po’ allo spettatore ignaro, ma credo che permanga una certa aura di enigma psicologico attorno al celebre scrittore irlandese (1906-1989) allo scadere dei circa 100 minuti.

Trattasi di cine-biografia spiazzante, in fondo poco realistica, quasi di impianto teatrale nelle scenografie e nelle ricostruzioni (tutto è stato fatto a Budapest). Si parte dal dicembre 1969, siamo a Stoccolma: lo scrittore ha appena ricevuto il Nobel e l’unica cosa che gli viene da dire è “Che catastrofe!”. In realtà fu la sua compagna storica Suzanne, poi moglie, a esclamare quella battuta in francese, qualche tempo dopo, ma è noto come lo scrittore/drammaturgo/poeta la pensasse sul prestigioso riconoscimento: “Non me lo merito”.

Gabriel Byrne e Sandrine Bonnaire

Il film immagina che Beckett, incarnato dal 73enne dublinese Gabriel Byrne, salga sul palco, ritiri frettolosamente il premio senza ringraziare, si arrampichi sulla struttura teatrale che sorregge i fari, facendone cadere alcuni, per inoltrarsi in una specie di cunicolo sovrastante; che lo porta in un luogo immaginario, una specie di chiostro lattiginoso dove incontra il suo doppio, forse la propria coscienza, un alter-ego antagonista, uguale a lui in tutto e per tutto, salvo che per gli abiti.

Che cosa fare della sostanziosa cifra legata al Nobel? Tenerla o darla in beneficienza? A chi? Il dilemma è solo un pretesto per una sorta di auto-seduta psicoanalitica costruita per antefatti e prolessi, scolpita in cinque capitoletti: “Madre”, “Lucia”, “Alfy (e Suzanne)”, “Suzanne (e Barbara”), “La fine”. Così, un po’ alla volta, lo spettatore s’inoltra nell’esistenza di Beckett. Prima ragazzino ai ferri corti con la madre implacabile, poi adolescente ribelle, poi giovane uomo in tweed che a Parigi conosce l’ammirato James Joyce e ne diventa collaboratore, tra fanciulle mentalmente instabili, coltellate al ventre, resistenza ai nazisti nel sud della Francia, l’amico ebreo Alfred morto in un lager, un amore diviso in due per decenni: la francese Suzanne Dechevaux-Dumesnil, sua musa e compagna, e la britannica Barbara Bray, sua consulente e amante.

Fionn O’Shea Beckett da giovane

Suona interessante la prospettiva del film. Marsh non mostra Beckett al lavoro, che so su Giorni felici, Finale di partita o Aspettando Godot (benché il titolo venga propria da una battuta del dramma comico), semmai evoca, riuscendovi in larga parte, il mondo interiore del dublinese infranciosato, quel suo muoversi rassegnato tra ironie e rimpianti, conquiste e vergogne, combattimenti e sconfitte, “in una terra desolata dove andiamo tutti”. Il suo mantra era: “Fight, fight, fight”.

C’è una bella frase che gli dice Joyce al primo incontro parigino, in un bar: “Non è importante cosa scriviamo, ma come lo scriviamo”. E già. I due grandi letterati erano, stilisticamente all’opposto, anche nelle loro pezzature: fluviale e sentimentale l’autore di Ulisse, stringato e fulminante l’autore di Molloy. E intanto, sullo schermo, Beckett e il suo doppio invecchiano e incanutiscono insieme, meditando sulla stessa esistenza da due diversi punti di vista.

Gabriel Byrne, che qualcuno ricorderà Cristoforo Colombo in un lontano sceneggiato di Alberto Lattuada, non somiglia fisicamente al vero Beckett, non ha quel viso scavato e ossuto, quel fisico asciutto, eppure non ci fai caso (che bello il suo inglese); più somigliante è il caustico/laconico Fionn O’Shea che interpreta lo scrittore da giovane; mentre il versante femminile è coperto da Sandrine Bonnaire e Maxine Peake, che fanno rispettivamente la matura Suzanne e la sensuale Barbara.

So che a molti colleghi il film non piace, pazienza: a me invece ha fatto venire una gran voglia di riprendere in mano le novelle del dublinese, a partire da Primo amore. Mi pare già molto.


Prima danza, poi pensa. Alla ricerca di Beckett  (Dance First) Regia: James Marsh; sceneggiatura: Neil Forsyth; fotografia: Antonio Paladino; montaggio: David Charap; interpreti: Gabriel Byrne, Sandrine Bonnaire, Maxine Peake, Aidan Gillen, Bronagh Gallagher, Fionn O’Shea, Caroline Boulton, Lisa Dwyer Hogg, Gráinne Good, Barry O’Connor; produzione: 2LE Media, Film Constellation, Proton Cinema, Sky Arts, Umedia; origine: GB/ Belgio/Ungheria, 2023; durata: 100 minuti; distribuzione: BIM.

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