Sira di Apolline Traoré

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(da Cineuropa)

Quali sono in fondo le componenti essenziali di un western? Un eroe, un nemico, il paesaggio. In Sira, il film della regista del Burkina Faso Apolline Traoré passato nella sezione Panorama, l’eroe è in realtà un’eroina (Nafissatou Cissé) e dà il nome al film, un’eroina indipendente che ha deciso di fidanzarsi con un cristiano, cosa non esattamente ben vista da quelle parti, anche se il padre è un saggio illuminato che accetta le scelte della figlia. Quelle parti sono il deserto del Sahel (il paesaggio) dove si aggira una tribù di nomadi a cui Sira appartiene. Ma non facciamo in tempo a raccapezzarci in merito al conflitto che ci viene annunciato che le cose, dopo pochi minuti, prendono subito un’altra piega: la carovana viene presa d’assalto da un gruppo di spietati guerriglieri (il nemico), anche grazie all’ausilio di una talpa cattiva cattiva di nome Moustapha (Mike Danon), tutti gli uomini vengono sgominati le donne deportate, Sira violentata e risparmiata solo perché il capo dei guerriglieri non la ritiene nemmeno degna di una pallottola o di una scarica di bazooka. Questo, se si può dir così, il prologo.

Il film prosegue a questo punto su due, a tratti su tre binari. Primo binario le ricerche del fidanzato che viene a sapere dell’accaduto, ricerche che si fa fatica a definire particolarmente fruttuose, a tratti Jean-Sidi, (Abdramane Barry) questo il nome del fidanzato, ci ha ricordato il personaggio di Don Ottavio nel Don Giovanni che promette sfracelli per vendicare Donna Anna e il Commendatore ma non compiccia proprio nulla. Culmine della sua dabbenaggine: quando finalmente si avvicina all’obiettivo in motoretta, resta senza benzina. Ma si può?

Secondo binario: le dinamiche interne all’accampamento dei guerriglieri, c’è il capo Yere (Lazare Minoungou), il cattivo che ha violentato Sira che già conosciamo, una serie di altri uomini in posizioni subordinate e un nutrito gruppo di donne deportate al solo ed esclusivo scopo di sollazzare a turno i maschi, soprattutto il capo che ogni giorno, stile harem, si scegli la prediletta, la violenta e la picchia; nel gruppo c’è anche la talpa Moustapha che avevamo conosciuto nel prologo che è cattivo cattivo ma con il senso di colpa, quindi ogni tanto si fustiga. Le donne vengono vigilate da una kapò, manco a dirlo cattiva cattiva, anche se un po’ tonta, che si distingue dalle altre donne perché a differenza di loro rigorosamente in nero ha sì il burqa ma di colore rosso.

Terzo (e più frequente) binario: le peripezie di Sira, che dapprima vaga senza meta nel deserto senza nemmeno una goccia d’acqua, al più tardi (in realtà al più presto perché ciò avviene quasi subito) lo spettatore fa fatica a farsi convincere dalla credibilità del plot. Dopodiché, come per magia, rintraccia l’accampamento dei cattivi, si nasconde dietro le rocce (non la scoprono mai!), prende nottetempo contatto con le donne, istigandole all’insurrezione, anche grazie a un’ulteriore talpa che si annida nell’accampamento, questa volta buona buona. Nel frattempo, come se non bastasse, le cresce il ventre perché, ovviamente, la violenza carnale ha prodotto una gravidanza.

Chiedo perdono per il tono cinico e disincantato a fronte di drammi così tremendi, ma purtroppo si fa davvero una grandissima fatica a prendere sul serio questo film e, temo, che l’effetto non corrisponda minimamente alle intenzioni dell’autrice. Non diciamo come va a finire il tutto, ma lo si può immaginare, forse.

Con tutto questo, seppur in mezzo a qualche risata, il film si lascia vedere e qua è la funziona.


Cast & Credits

Siraregia, sceneggiatura: Apolline Traoréfotografia: Nicola Berteyac; montaggio: Sylvie Gadmer; interpreti: Nafissatou Cissé, Lazare Minoungou, Mike Danon, Abdramane Barry; produzione: Les Films Selmon (Burkina Faso), Araucania (Francia); origine: 2023 Burkina Faso, Francia, Senegal, Germania; durata: 122′

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