Spettri di Rimas Tuminas

Come una fresca ferita esposta all’aria aperta. La carne spaccata, e il bruciore della cicatrizzazione in atto e lontana dal farsi. Alla fine Ibsen fa proprio questo: la messa sul palcoscenico di una ferita, borghese. Perché la borghesia campa di ideali, famiglia lavoro religione, e sopravvive per l’ipocrisia che quegli ideali ricopre, e quando l’ipocrisia è sfregiata, e l’ideale è quindi nudo, ciò che emerge dalla ferita pulsante sono terribili

Spettri, spettri che tornano, sempre tornano

E gli spettri si aggirano, si divincolano, si contorcono, hanno insomma bisogno di spazi di vita esteriore e morte interiore per infestare palcoscenico e personaggi, che non possono che arrivare a chiedersi

Che diritto abbiamo noi uomini di essere felici

Frase sospesa tra assertività e domanda, la gioia di vivere è definita nel modo più violento possibile, come arroganza.

Norvegia, fine Ottocento. Giorno di pioggia. Ragine è cresciuta. Si è fatta donna, una bellissima donna nel fiore dell’età, e il padre Engstrand la vuole portare con sé al porto, a lavorare nell’osteria. Ma il padre non è in realtà suo padre, è solo presunto, e l’osteria non le va giù perché lei è già promessa all’orfanotrofio fondato dalla signora Alving in memoria del compianto marito. La signora Alving, Helene, è una donna dall’alto valore morale, irreprensibile. Lo stesso non si può dire del figlio: Osvald è tornato giusto ora da Parigi, lì di lavoro pittore, e della città francese ha preso tutti i possibili vizzi. Tale è la distanza dalla madre. Helene riceve la visita del pastore Manders per le formalità dell’orfanotrofio, e questi oltre alla sua persona porta con sé il peso della sua istituzione e dei sensi di colpa legati. Stanca di questa ipocrisia borghese, Helene svela chi fosse realmente il marito: un uomo di vizzi, tale e quale al figlio. E questa non è l’ultima rivelazione perché altre ne seguono, incesti e follie, tra cui quella del figlio che rivela la propria depressione e la propria mancanza di

Gioia di vivere! Joie de vie!

E d’un tratto la morale borghese è crepata, i personaggi non sono più soli ma circondati da

Spettri, antiche convinzioni che vivono in noi.

E ci soffocano.

Gli spettri necessitano tuttavia di determinate condizioni per aleggiare sul palcoscenico e la regia di Rimas Tuminas, come l’adattamento di Fausto Paravidino, le colgono e riportano sul palcoscenico. Quattro colonne, sedie spaiate, un enorme specchio appeso, soundtrack mai protagonista ma sempre presente, fumo di scena. Il resto è gioco sui vuoti, quelli di spazio e quelli di lingua, il vasto ipocrita silenzio borghese che prima dilaga, poi viene infranto e infine ritorna perché l’immobilità preserva e devasta. Nel mezzo, nel silenzio, ci sono loro, i cinque personaggi portati in scena da attori efficaci e di grande esperienza: Andrea Jonasson, Gianluca Merolli, Fabio Sartor, Giancarlo Previati, Eleonora Panizzo. Ottimi nell’interpretazione, così nei movimenti scenici: fondamentale in un’opera nella quale il parlato o manca o straripa – il borghese è tanto o nulla – e il movimento del corpo deve affermare o negare quanto si dice, nonché alleggerire o appesantire le parole E in questo l’obiettivo è stato centrato.

Spettri di Ibsen, per la regia di Rimas Tuminas, è quindi un’opera intensa e splendida. Un’operazione a cuore aperto, la borghesia sventrata, ma né sezionata o analizzata, bensì abbandonata, scordata sul lettino della sala operatoria. Poi, certo, il corpo viene richiuso, eppure nulla è stato fatto per salvare o aggiustare, nessuna soluzione trovata. Però, che operazione opportunamente fallita! Rimangono corpi vivi e spettri, l’uno al fianco dell’altro, intrappolati nello specchio e nella vita quotidiana, ognuno in attesa che smetta di piovere e che si possa ricevere qualcosa. Un semplice raggio di sole. Una nuova vita. E nell’attesa, già cala il sipario.

Dal 13 al 18 dicembre al Teatro Quirino, Roma.


Spettri di Henrik Ibsenregia: Rimas Tuminas; adattamento: Fausto Paravidino; scene e costumi: Adomas Jacovskis; musica: Faustas Latènas, Giedrius Puskunigis, Jean Sibelius, Georges Bizet; disegno e luci: Fiammetta Baldiserri; ripresa luci: Oscar Frosio; interpreti: Andrea Jonasson, Gianluca Merolli, Fabio Sartor, Giancarlo Previati, Eleonora Panizzo; produzione: Teatro Stabile del Veneto.

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