Torino F.F.: Linda e il pollo di Chiara Malta e Sébastien Laudenbach, (Concorso – Premio per la miglior sceneggiatura)

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Da un fondo nero emerge un anello verde. È un ricordo, un’esistenza, un padre. Quest’anno già il bellissimo Invelle di Simone Massi ci aveva mostrato il sorgere dell’animazione a partire da un fondo nero di nulla, di dimenticanza. Ma se in Invelle esploravamo varie memorie a rischio d’estinzione, in Linda e il pollo ci avventuriamo nell’esperienza soggettiva di una bambina che riesce a ricordare il padre solo grazie a un anello verde. È per questo motivo che, a differenza di quello di Massi, il film della coppia (anche di fatto) Malta/Laudenbach si immerge nel colore dell’esperienza infantile lasciando quel sorgivo nero fuori campo, come un rimosso.

L’infanzia è un periodo in cui ogni cosa si imprime con un colore specifico, con una propria esistenza singolare. Il mondo sembra così piccolo che ogni singolarità si incide con forza nella mente di una bambina: così la mamma è arancione, il gatto viola, il cane marrone, ecc. Solo la notte è nera, come il ricordo, la morte. Ma l’infanzia è una fuga nel colore, un’avventura che colora di ricordi ed esperienze la notte fino a rimuovere il nero.

Ma il rimosso torna come desiderio. Linda vuole mangiare pollo e peperoni, il piatto migliore dello scomparso papà, vuole tornare indietro con la memoria, tornare al nero in un mondo fin troppo colorato. La madre glielo ha promesso, ma è giorno di sciopero, dove trova un pollo da cucinare? In un pollaio avviene la prima delle tante corse che pervadono il film. Rincorrere un pollo diventa metafora del lavoro del lutto da parte della figlia, ma anche occasione di liberazione per una madre imprigionata nel proprio ruolo. Il pollo sembra irraggiungibile, come un ricordo che non si lascia dominare, come un’avventura che si può solo vivere fino in fondo.

La folle corsa del pollo travolge tutta la comunità. Le persone si moltiplicano, le corse anche. Tutti lo inseguono per puro spirito d’avventura. Tra queste persone sfilano anche nuove figure paterne: un poliziotto incapace di sparare al pollo che ammanetta la madre, un fabbro che libera dalle catene la madre. È il pollo che spinge la madre a ritrovare nuovi stimoli e desideri, ma spinge anche alla figlia a costituire un nuovo ordine simbolico per un altro padre, per una nuova esperienza. E sarà proprio da questa nuova disponibilità a riconsiderare il proprio ordine simbolico che potrà affrontare il trauma rimosso.

Linda e il pollo ritorna alla figura retorica così cara alla Nouvelle Vague della fuga, spesso associata al mondo dell’infanzia, come nei Quattrocento Colpi (1959) di François Truffaut o in Zazie nel metrò (1960) di Louis Malle, riscoprendone la vitalità, la potenza immaginativa, ma anche il contatto con la morte, con il fondo di nero da cui l’animazione sorge. Ma qui è il colore a restituirci una nuova dimensione simbolica con cui il trauma, il nero, si può armonizzare. Così ogni nero, ogni fine del film, non è la fine dell’universo, il principio dell’inesistente, ma semplicemente ciò che permette di racchiudere un’esperienza, di comprendere un’esistenza singolare, di accettare una morte.


Linda e il pollo – Regia: Chiara Malta e Sébastien Laudenbach; sceneggiatura: Chiara Malta e Sébastien Laudenbach; montaggio: Catherine Aladenise; musica: Clément Ducol; produzione: Marc Irmer per Dolce Vita Films, Emmanuel-Alain Raynal e Pierre Baussaron per Miyu Productions, Flaminio Zadra e Pilar Saavedra Perrotta per Palosanto Films; durata: 75 minuti; origine: Francia/Italia, 2023; distribuzione: I Wonder Pictures.

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