Una femmina di Francesco Costabile

  • Voto
3

Una femmina, esordio nel lungometraggio di Francesco Costabile, passato in anteprima al Festival di Berlino nella sezione “Panorama”, è  un film fatto di controluce, sfocature e cornici e con un titolo diretto ed enigmatico insieme,  e non potrebbe essere altrimenti visto il cosa e il come ha scelto di raccontare.

Tratto dal romanzo Fimmine ribelli: come le donne salveranno il paese dall’ n’drangheta del giornalista Lirio Abbate, il regista cosentino mette in scena la conquista faticosa e sofferta di Rosa , una giovane ragazza calabrese, per ricostruire la memoria intorno alla morte della madre e acquisire la consapevolezza di essere nata e cresciuta in una famiglia affiliata all’n’drangheta, per rifiutarne l’appartenenza, contrapponendo all’oblio e all’omertà la volontà di conoscere, pur essendo costretta a  fare i conti con le sue origini  e a cedere un tributo alla faida sanguinosa intorno a cui gira quel mondo arcaico e fuori dal tempo (e proprio per questo senza memoria).

Costabile sceglie la strada più insinuante e suggestiva del contrappunto per rappresentare questo processo di demistificazione, servendosi di una fotografia spesso notturna e virata in forti chiaroscuri , dai quali i personaggi sono spesso avvolti come a rivelarne una dimensione interna di contrasti tra la resistente, intensa vitalità di Rosa e la mortifera, rituale gestualità dei suoi parenti che, sotto gli occhi orgogliosi e  indignati della loro nipote fuori norma, si muovono come se fossero costantemente ad un cerimonia funebre , una lentezza spezzata dalla tensione che qualcosa di terribile è accaduto o sta per accadere. Per questo la composizione dell’inquadratura , oltre alle luci, tiene conto della disposizione dei corpi nello spazio attraverso la profondità di campo , ad indicare la trasformazione delle dinamiche tra i personaggi; così più cresce la necessità di Rosa di sapere, più la sua figura viene messa e schiacciata all’angolo dalla violenza esplicita e diretta dei maschi e dalla passività e dell’indolenza delle donne tra le quali emerge comunque, sotterraneo e implacabile, il potere del matriarcato così decisivo e fondamentale nella struttura dell’ n’drangheta, nel suo radicamento e sviluppo all’interno dei nuclei delle piccole comunità paesane. In questo caso, la protagonista cerca di  estirpare letteralmente dal proprio ventre, in una scena terribile durante la quale si procura una penetrazione vaginale per simulare uno stupro, quel male primigenio, quella condanna atavica di un circolo destinato a ripetersi, un’identità di femmina complice e carnefice, e non solo muta e imperscrutabile testimone di piccoli e grandi orrori quotidiani.

Un’ideale sorella di Rosa, in questo rifiuto del seno cattivo e la riconquista del coraggio e della tenerezza della figura materna, potrebbe essere la Fausta de Il canto di Paloma, figlia di una vittima indios degli stupri del Perù devastato dalla guerra civile tra Stato e terrorismo senderista: ma se la protagonista del film di Claudia Llosa , tra l’altro vincitrice dell’Orso d’oro proprio a Berlino nel 2009, cerca una via di guarigione e di riscatto nella sua voce intonando la melodia del titolo italiano ( anche se quello originale spagnolo, la teta asustada,  esplicitava il riferimento al seno spaventato che  trasmette la paura nell’allattamento), l’eroina oscura di Costabile si scontra fino al taglio più profondo con i demoni e i fantasmi che affannano la sua mente e la sua carne; solo materializzando le proprie paure infatti, riesce in qualche modo ad esorcizzarle, a restituire loro una nuova forma e un nuovo suono , seppur antico come quello eseguito dalle donne velate di nero nella conclusiva marcia con i maschi relegati a impotenti caricature di se stessi. L’insolito pregio di questa opera prima , oltre alla centralità di una figura femminile viscerale e a tutto tondo che mancava dai tempi della sanguigna e potente Donatella Finocchiaro, capace di essere corpo- cinema declinato nel melò noir , quello astratto di Roberta Torre (Angela) o quello sentimentale di Edoardo Winspeare (Galantuomini), sta proprio nel cercare una sintesi tra la robustezza del racconto di genere e il simbolismo visionario del cinema d’autore. Diremmo forse che, più dei due citati titoli con la Finocchiaro, parrebbe essere il troppo spesso dimenticato Salvatore Piscicelli , in particolare quello di Immacolata e Concetta o Le occasioni di Rosa, una fonte d’ispirazione per la messa in scena ineluttabile e cupa, con rare aperture all’esterno e spesso chiusa in ambienti incastonati da porte, finestre , vie e specchi; c’è da dire che Piscicelli spingeva più in là sul pedale del contrasto tra l’audacia del feuilleton nazional popolare (spesso rifacendosi a fatti di cronaca) e la trasfigurazione lucida e sublime del melodramma fassbinderiano, con risultati che oscillavano tra l’emozione e lo straniamento. In questo caso, Costabile , pur alternando sbandamenti e accelerazioni  a momenti di precisa analisi e riflessione, espone troppo  l’impianto programmatico e dimostrativo della regia, preoccupato, probabilmente, di far quadrare tutto, quando è la natura strabordante e densa delle immagini e lo spessore dei volti, sopra a tutti quello inedito di Lina Siciliano, ad avvincere e a convincere.

La presenza breve ma come sempre incisiva di Fabrizio Ferracane, non può poi non evocare l’altro film italiano che negli ultimi anni si è confrontato con il feroce e inespugnabile microcosmo dell ’ndrangheta, meno familiare e riconoscibile rispetto a quelli della Mafia e della Camorra ripetutamente raccontati dalla finzione cinematografica  e dal giornalismo: Anime nere di Francesco Munzi, nella sua costruzione ancora più esplicita da tragedia greca, dove i tre fratelli protagonisti rimanevano intrappolati nel castrante ed edipico utero della matriarca fino allo smarrimento di qualsiasi altra possibile identità e all’autodistruzione, passa a Una femminina l’ideale testimone di una lettura archetipica dove all’ineluttabilità della distruzione e della pazzia dell’uomo ripiegato sulla sua aspirazione di dominio e controllo , si sostituisce la possibilità della donna di auto rigenerarsi  e di continuare in una prospettiva di riscatto, sanamento ed elaborazione del lutto.  Perché Rosa aspira in fondo ad essere un’ Elettra sofoclea  che non si annuncia però tanto nell’ ordire e portare a compimento scientemente  una vendetta , quanto nel farsi portatrice, anima e corpo,  di una nuova era con al centro una questione di etica e responsabilità: l’ agire a viso scoperto e alla luce del giorno.

E, per chi volesse scoprire la trasversalità spazio-temporale del finale del film, consigliamo di andare a rivedere un vecchio videoclip della cantautrice americana Tori Amos, Past the mission : anche lì c’era un corteo di donne che attraversava le vie di un villaggio arcaico tenendosi e celebrava nel canto una femmina fuori norma contro un maschile inerme. Vale la pena citare in chiusura un verso di quella canzone: Da qualche parte so che lei sa ….alcune cose che solo lei sa.

In sala dal 17 febbraio 2022


Cast & Credits

Una femmina – Regia: Francesco Costabile; sceneggiatura: Lirio Abbate, Francesco Costabile, Serena Brugnolo e Adriano Chiarelli (tratto dal romanzo Fimmine ribelli: come le donne salveranno il paesa dall’ n’drangheta di Lirio Abbate); fotografia: Giuseppe Maio; montaggio: Stefano Mariotti; interpreti: Lina Siciliano, Fabrizio Ferracane, Annamaria De Luca, Mario Russo, Simona Malato, Francesca Ritrovato; produzione: Medusa Film; origine: Italia 2022; durata: 120′; distribuzione: Medusa Film.

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