Festival di Venezia (28 agosto – 7 settembre 2024): Diva Futura di Giulia Louise Steigerwalt (Concorso)

  • Voto
3


“Un ritratto imparziale, il racconto della parabola tragica di un gruppo di personaggi che, se per certi versi si sono battuti per la libertà, paradossalmente hanno poi contribuito con il loro lavoro a normalizzare qualcosa che va contro la libertà della donna stessa, ovvero la mercificazione del corpo femminile. ll racconto, in questo senso, di una grande contraddizione”. Con queste parole Giulia Louise Steigerwalt presenta al pubblico Diva futura, il film sull’effimera e seminale nascita in Italia del porno di massa” (per citare un fondamentale testo di Pietro Adamo), in concorso alla Mostra di Venezia. Dichiarazione che inseriamo nell’incipit di questa recensione perché ci sembra racchiudere in modo fulminante il senso ultimo – storico, sociale, antropologico, politico, etc. – di quella che la giovane regista nata a Houston definisce giustamente “una grande contraddizione”.
Nato sull’onda lunga delle battaglie degli anni ’70, che portarono alla liberazione sessuale e a una prima, ancora parziale, emancipazione della donna, la pornografia diviene, nel corso del decennio successivo, un paradossale strumento di “reificazione” del corpo femminile, che da soggetto di potere diventa ancora oggetto di mercificazione, valore di uso e di scambio. Riflessioni che sussistevano sullo sfondo di un altro rilevante prodotto audiovisivo dedicato di recente al tema, la serie Netflix Supersex, che illustra vita e opere di Rocco Siffredi.
In Diva futura, però, non si compie un’analisi sulle cause e sugli effetti dell’hard all’italiana – come il commento rilasciato dalla regista per il catalogo della Mostra lascerebbe supporre – ci si limita piuttosto a mettere in scena la parabola breve e bruciante di quell’esperienza decisiva per le sorti di un pugno di belle ragazze intraprendenti che da allora si chiameranno per sempre “pornostar”; fanciulle dai nomi esotici e spudoratamente pruriginosi (Moana, Cicciolina, Eva Henger, ecc) che forti di quel successo sapranno candidarsi con alterne fortune per il Campidoglio e il Parlamento italiano. Decisiva per loro e per l’immaginario collettivo non solo italiano che, complice un malinteso concetto di libertà e il diffondersi dei videoregistratori VHS, permise l’emergere impetuoso di queste icone della lussuria sfrenata, radunate attorno a un’agenzia romana chiamata, per l’appunto, “Diva futura”. Il suo fondatore – come il film si premura di informare – è un gracile giovanotto per nulla avvenente ma molto risoluto, già vittima di soprusi e bullismo, che risponde al nome di Riccardo Schicchi, interpretato qui da un somigliantissimo Pietro Castellitto.

Lidija Kordić

La brava Steigerwalt – che avevamo già apprezzato nel suo debutto dietro la macchina da presa, Settembre, film corale che le valse la vittoria come migliore regista esordiente sia ai David di Donatello che ai Nastri d’argento – dimostra di saper padroneggiare una materia in tutti i sensi incandescente, grazie a uno sguardo insieme colto e originale. Dona al suo film una patina avvolgente e flamboyant, non immemore di certi affreschi del cinema d’autore hollywoodiano contemporaneo come Casino di Martin Scorsese, nel quale le sequenze erano legate assieme da brani di musica pop. In Diva futura – per iniziare a focalizzare il mood del film – si odono tra le altre Live is Life degli Opus e Words (Don’t Come Easy) di F.R. David; e un florilegio di hit musicali che conferiscono alla pellicola un’allure decisamente pop e cool.
Non solo: la piacevole sorpresa che si para innanzi allo spettatore, per lo meno durante la prima mezzora di un film che ne dura comunque più di due (che a noi paiono comunque sempre troppe, ma è una deriva che riguarda tutto il cinema dei nostri giorni), è che Diva futura è contro ogni previsione soprattutto un comedy intessuto di un fuoco di fila di battute fulminanti affidate principalmente alla bravura di Castellitto, il quale aderisce al personaggio di Schicchi con impressionante mimetismo, rivelando peraltro una profondità d’animo che a tutta prima non si immaginerebbe che il manager del porno possedesse. Invece lo Schicchi di Castellitto è provvisto di una sensibilità che sbalordisce, unita a un acume da filosofo di strada che gli consente di rincuorare le dive della sua scuderia con intelligenti massime liberatorie come questa: “non permettere che le parole degli altri ti definiscano”.
Peccato però che, trascorsa questa mezzora condotta con il piglio rutilante che si è sin qui descritto, il film scelga di adagiarsi sui canoni consueti della biografia generazionale, incappando in tutti i difetti che questo genere (il biopic, sebbene di gruppo) reca di solito con se: spiegoni didascalici, derive melodrammatiche e l’inevitabile meccanismo narrativo del “rise and fall”, qui moltiplicato per 3 o per 4, tanti quanti sono i protagonisti che passano dai successi elettorali e letterari alle morti precoci, dalla festosità dell’eros liberato all’inferno del sesso come prigione contrattuale. Il tutto complicato dall’effetto “vorrei ma non posso” dato dall’impossibilità quasi ontologica del film di aderire davvero fino in fondo alla fisicità di (porno)dive troppo ben note al pubblico perché si accetti che siano credibilmente “interpretate” da attrici peraltro ancora inesperte senza che si obliteri il fenomeno conosciuto come la “sospensione dell’incredulità”. Che per un film biografico è un problema non da poco.

Denise Capezza

Troppo stridente è infatti in tal caso la difformità anche solo fenomenica del coefficiente di veridicità trasmesso dai tanti inserti d’archivio di cui Diva futura si giova rispetto alla rappresentazione “fictional” del cast di attrici: si vedono tra gli altri spezzoni televisivi in cui le “finte” pornostar sono fatte interagire con i veri Maurizio Costanzo, Pippo Baudo e Roberto D’Agostino. Stridore che porta a rimpiangere una scelta pure possibile che non è stata qui fatta: ricorrere allo stile ibrido di un film “non fiction” pur non irreprensibile presentato in questi giorni in laguna come 2073 di Asif Kapadia, che per raccontare il presente decide di giustapporre le parti “documentarie” accanto a quelle “rappresentate” tenendole però significativamente distinte.
Ciò detto, Diva futura si lascia vedere perché narra uno spaccato sociale recente le cui rifrazioni insistono ancora sull’oggi, e perché lo fa con una maestria registica e produttiva (la casa di produzione è ovviamente la Groenlandia di Matteo Rovere che come ognun sa è il marito della Steigerwalt) di cui si è cercato di dare conto; sebbene a parere di chi scrive i difetti che si è provato a raccontare non riescono in definitiva a risollevarlo fino al punto da riuscire a promuoverlo a pieni voti.

 


Diva futuraRegia: Giulia Louise Steigerwalt; soggetto: Non dite alla mamma che faccio la segretaria di Debora Attanasio; sceneggiatura: Giulia Louise Steigerwalt; fotografia: Vladan Radovic; montaggio: Gianni Vezzosi; scenografia: Cristina Del Zotto; costumi: Andrea Cavalletto; musiche: Michele Braga; interpreti: Pietro Castellitto, Barbara Ronchi, Denise Capezza, Tesa Litvan, Lidija Kordić, Davide Iachini, Marco Iermanò; produzione: Groenlandia con Piper Film; origine: Italia, 2024; durata: 128 minuti; distribuzione: Piper Film.

Foto ©LUCIAIUORIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *