Anima bella di Dario Albertini

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Il secondo, ragguardevole film di finzione del regista romano Dario Albertini, inizia con il compleanno dei 18 anni della protagonista Gioia, magnificamente interpretata da Madalina Di Fabio, al suo debutto dietro la macchina da presa.

La ragazza, come ci accorgiamo subito, vive in un piccolo borgo dell’alto Lazio, presumibilmente tra Tolfa e Allumiere e poi si dovrà spostare in città  nel quartiere “Le Casermette” a Civitavecchia, come apprendiamo dai titoli di coda.

Le locations dunque, tenute anonime o almeno non esplicitate in modo chiaro e facilmente riconoscibile, per quanto suggestive, servono a descrivere più che altro una condizione psicologica e il “Coming-to-Age” di una adolescente. Non mirano tanto ad una precisa localizzazione geografica o sociologica quanto piuttosto a farci entrare negli stati dell’animo dei due protagonisti del film, la figlia Gioia appunto e il padre Bruno (il qui barbutissimo attore romano Luciano Miele), nell’eterno dissidio tra la campagna (atavica e apparentemente paciosa) e la città, anche se piccola, portatrice di corruzione e peccato.

Pur avendo perso da poco la madre, nella piccola comunità del suo paese, la ragazza vive contenta tra la chiesa e le amicizie, è apprezzata e benvoluta da tutti, occupando le sue giornate in un lavoro di pastorizia che le piace, e alla vendita di latte e formaggi. Adesso è lei che manda avanti la famiglia mentre Bruno sembra aver accusato in modo traumatico la morte della moglie e dopo breve capiamo, tramite gli occhi della figlia da cui è visto la gran parte del film, che è caduto sempre più pesantemente nel giro del gioco d’azzardo, indebitandosi oltre misura, sino ad un punto di non ritorno.

A questo punto Gioia – il senso del cui nome sarà occasione per un breve ma intenso cameo di Piera Degli Esposti nella sua ultima o penultima apparizione prima della morte l’anno scorso – sarà costretta a prendere delle decisioni drastiche, da persona molto più adulta della sua età per tentare di salvare il padre: sacrificando la sua vita felice, porta l’uomo in città in un istituto di rieducazione che lo possa liberare dalla sua ossessione (“il gioco è come la droga e lo dico per esperienza personale” afferma la persona amica che segue la “disintossicazione” dalla ludopatia di Bruno).

Con Anima bella,  presentato in Concorso all’ultima edizione 2021 di “Alice nella Città” al Festival di Roma, Dario Albertini prosegue e allarga in modo significativo, due temi che aveva iniziato a trattare nei suoi film precedenti: nel suo primo lavoro, il documentario Slot – Le intermittenti luci di Franco (2013), infatti, pedinava la figura di un ludopatico compulsivo sardo, Franco Soro che aveva rovinato la sua famiglia e la ricercava a Civitavecchia; in Manuel (2017), invece, raccontava e seguiva, in stile semidocumentario, la storia di un ragazzo che a 18 anni esce da un Istituto per minori abbandonati  per cercare di inserirsi in una vita che si prospetta per lui ben difficile, dovendo “fa’ er doppio della fatica”, se non “er triplo”.

Da qualche tempo, un parte significativa e adusa al cosiddetto “cinema  del reale” comincia ad interessarsi all’Italia rurale e/o di provincia, quell’Italia che non fa notizia, che spesso è dimenticata da tutto e tutti. Un paese negletto e laborioso, lontano forse dagli strilli dei media ma non perciò, non necessariamente poco interessante per una appercezione cinematografica.

Pensiamo ad esempio, per fare dei casi molto recenti e/o noti, all’ambientazione (questa volta napoletana) di Californie (2021)  di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman con un’altrettanto dinamica e decisa ragazzina come Gioia oppure la provincia (questa volta borghese) del penultimo film scritto e diretto da fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo Favolacce (2020). O ancora, come è stato notato, la location impervia e la storia ancora più drammatica del persino troppo acclamato A Chiara (2021) di Jonas Carpignano con cui Anima bella potrebbe essere, mutatis mutandi, in parte accostato.

Forse Dario Albertini non ha fatto un film perfetto, ma la sua è una piccola opera sincera, originariamente girata (speriamo di non sbagliarci!) addirittura in Super 16mm Kodak come ai vecchi tempi del cinema “indi” del secolo scorso. Già a partire dal titolo che sembra banale ma è invece colto e con espliciti riferimenti filosofici, a Goethe e al romanticismo se si consulta l’espressione sulla Treccani.

Anima bella ha qualcosa di simpaticamente antico e di autentico, non vuole esser fiction tv né digitale perfetto, ambisce ad un cinema di significazione anche “sporco e stropicciato” in senso più pieno. E dovrebbe costituire, dopo il già ricordato Manuel, la seconda parte di una futura trilogia in fieri sul complesso rapporto, oggi, tra genitori e figli.

Non è un caso che la Cineteca di Bologna si sia incaricata della sua distribuzione. E ha fatto, per noi, benissimo.

In sala dal 28 aprile


Anima bella – regia: Dario Albertini; sceneggiatura: Dario Albertini, Simone Ranucci; fotografia: Giuseppe Maio; montaggio: Desideria Rayner; musica: Dario Albertini; interpreti: Madalina Di Fabio, Luciano Miele, Piera Degli Espositi, Enzo Casertano, Paola Lavini, Elisabetta Rocchetti, Antonio Noto, Alessandra Scirdi,  Adelaide Di Fabio; produzione: BiBi Film, Elsinore Film; origine: Italia, 2021; durata: 95’; distribuzione: Cineteca di Bologna.

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