Le note biografiche relative ad Alex Schaad raccontano che è nato in Kazakistan nel 1990 e che all’età di tre anni si è trasferito in Germania con i genitori, tornati nel paese da cui provenivano i loro avi. Nel 2013 a ventitré anni si è iscritto alla gloriosa HFF, la scuola di cinema di Monaco, a partire dalla quale ha dato vita almeno a due corto/mediometraggi che hanno ricevuto, entrambi, ottima accoglienza e addirittura premi: uno che risale al 2016 si intitola Invention of Trust, che si è beccato anche l’Oscar come migliore film studentesco; l’altro, pubblicato un anno dopo, si chiama Endling. Insomma, quel che si dice un giovanotto di grandi promesse. Sempre stando alle note biografiche, non risulta che Schaad gli studi alla HFF li abbia conclusi. Dal 2017 a oggi ha partecipato a un film a episodi intitolato The Love Europe Project, nove segmenti in tutto, fra cui anche uno di Laura Bispuri e, infine, ha diretto due episodi di una serie poliziesca tedesca.
Sospettiamo che siamo dunque di fronte a un regista che con il lungometraggio mostra di avere qualche difficoltà. Arrivato alla età – per carità ancora giovanile di 32 anni – ma date le premesse di promettente enfant prodige, piuttosto avanzata, Alex Schaad pubblica finalmente il suo primo lungometraggio che viene presentato a Venezia alla Settimana della Critica. E la sensazione più netta è che il regista abbia provato una difficoltà enorme a scriverlo questo lungometraggio intitolato in tedesco Aus meiner Haut (titolo internazionale Deep Skin); ci vogliono davvero pochi minuti per capire che il film gira su sé stesso.
Una coppia, vagamente in crisi, Tristan e Leyla – interpretati da Mala Emde (attrice per lo più televisiva) e Jonas Dassler (attore di livello per lo più teatrale, protagonista però dell’ultimo film di Fatih Akin, Il mostro di San Pauli (2019)– approda su un’isola, in una fattoria su cui si staglia una sorta di torre/inceneritore dove si compie ciò per cui il luogo è specializzato ovvero lo scambio di identità: i corpi restano gli stessi, ma cambiano le personalità, le psicologie, le patologie. Già la prima sera si sorteggiano (sì, si sorteggiano!) le riconfigurazioni e Tristan e Leyla vengono assegnati a un’altra coppia Mo (interpretato da Dimitrij Schaad, il fratello di Alex e Fabienne (Maryam Zaree, celebre attrice televisiva di origine iraniana, recentemente “nobilitata” dagli ultimi due film di Christian Petzold, la quale nel 2019 ha esordito come regista di un ottimo documentario autobiografico intitolato Born in Evin, passato anche a Bologna al Biografilm Festival).
Da quel momento ha inizio una serie – ben presto: ridicola – di riaccoppiamenti fra maschi e femmine, maschi e maschi, maschi che in realtà sono femmine, femmine che in realtà sono maschi, alla ricerca di quella che potrebbe essere la riconfigurazione più soddisfacente, con momenti di piena felicità, momenti di dolore immenso, con personaggi che vivono nel campus a complicare ulteriormente le possibilità combinatorie, le quali vengono altresì annunciate da surreali capitoletti che avrebbero l’ambizione di mettere ordine in una sceneggiatura caotica e ripetitiva, francamente inaccettabile, anche perché continuamente “nobilitata” da dialoghi improbabili e una vaga atmosfera new age ulteriormente appesantita da una musica extradiegetica solenne. Il mind game, che ci induce a chiederci e a ricordare chi è diventato chi, è totalmente privo di senso, come anche la parvenza di plot che verso la fine, almeno, vorrebbe diventare tragico.
Per l’ennesima volta il Concorso di Venezia non presenta film tedeschi; e che la Settimana della Critica sia ricorsa a Aus meiner Haut lascia pensare che tanto di meglio non ci sia in giro.
Aus meiner Haut – Regia: Alex Schaad; sceneggiatura: Alex Schaad, Dimitrji Schaad; fotografia: Ahmed El Nagar; montaggio: Franziska Koeppel; interpreti: Jonas Dassler (Tristan), Mala Emde (Leyla), Dimitrji Schaad (Mo), Maryam Zaree (Fabienne), Edgar Selge (Stella), Thomas Wodianka (Roman); produzione: Walker+Worm Film Produktion; origine: Germania 2022; durata: 103′.