Blanquita di Fernando Guzzano

  • Voto

Al resto del mondo non importa nulla di voi. Sono l’unica persona a cui importiate. Non siete nulla. Nessuno. Soltanto delinquenti, merda, merda umana.

Solo qui dentro siete ritenuti degli essere umani.

A volte c’è bisogno di un testimone chiave. Perché tutto abbia inizio, perché tutto finisca. E per esserlo, testimone chiave, è necessario essere candidi, bianchi come la neve, perché le tue parole sono lame e colui contro cui sono usate farà di tutto per rovinare il filo. Per renderti inoffensivo, se già non l’ha fatto. Blanquita, per la regia di Fernando Guzzano, corre nella categoria Orizzonti di Venezia e l’orizzonte è quello del Cile: laggiù, nella terra di giungle, ghiacci, Ande e deserti, per alcuni è possibile fare cose, per altri meno, perché «una cosa è dire che succedono cose terribili, un’altra è incolpare» e quindi è giusto giocare sporco, bisogna però essere capaci di giocarci con il fango perché da bianchi che si è, si rischia di rimanere sporcati. Da altri, da coloro che il sudicio lo conosco bene.

Padre Manuel aiuta coloro che vengono rigurgitati dalla strada, gli emarginati. Ha la pelle del viso bruciata, gli occhi sottili e vuole FATTI, NON PAROLE. Alcuni dei suoi ragazzi hanno visto l’inferno, magari di passaggio ma nell’attraversarlo hanno dovuto fare patti con i diavoli di turno, poco disposti al consenso. Carlitos, per esempio, sbatte la testa contro i muri e parla, parla di cosa gli facevano. Frustrate abusi coprofagia. Lui, l’Orso Bianco, come si fa chiamare, non è però un testimone affidabile per i procuratori: ufficialmente è instabile, ufficiosamente i diavoli lo hanno troppo segnato perché minimamente attendibile possa suonare. In effetti, non può che essere richiesta sanità mentale per giurare contro coloro che te l’hanno fatta perdere. È una sfortuna, ma fortuna è che lei, Blanquita, abbia passato lo stesso inferno e dalle fiamme ne sia uscita. Lei, Blanca o Blanquita, è il testimone chiave. Ed è veramente una fortuna perché lei ricorda tutto, ogni cosa, per filo e per segno, soprattutto i nomi. E c’è un senatore di mezzo, una persona per bene, così sostiene una collega di partito.

Il senatore Vásquez? Non è possibile. Lo conosco molto bene.

E Blanquita risponde

Ha stuprato anche lei?

La giovane attacca e difende, ma lei è il testimone chiave e nel momento in cui lo si è, non appartieni più né a te stessa né a tua figlia: sei corpo da sezionare, oggetto da autopsia da analizzare per ripescare nel tuo corpo e nella tua mente ciò che una doccia e il tempo avevano provato a lavare via da pelle e memoria. Sei insomma bugiarda fino a prova contraria. Arriva però un momento in cui il mondo sembri averlo proprio convinto e da convincere rimane giusto una persona a cui mai avresti pensato: te stessa. Perché

Una buona bugia è fatta di verità, ed è un differente modo di dire la verità.

Fernando Guzzano firma una pellicola che è tratta da una storia vera e il gusto di storia vera non lo vuole perdere. Fronzoli registici vengono limitati, si evitano scelte visuali che possano virare il film in chiave spudoratamente thriller o condirlo oltremodo. Si è perciò essenziali, fedeli ai personaggi come alla storia, peccando solo in inquadrature mirate, oblique quando si vuole mescolare pensieri e chilometri percorsi in auto, dall’alto o dal basso quando si vuole far sentire il peso dei poteri forti, Chiesa e politica, su coloro che provano a sfidarli, i deboli. Sui loro visi preme la mdp e loro, Blanquita e padre Manuel, lo soffrono con atteggiamenti opachi, sofferenti e silenti: lei è assente eppure ingenua ed espressiva, lui è tenace, una pietra bruciata che non stilla lacrime. Accusato di fare il profeta risponde da profeta di un altro mondo, il nostro, quello terreno, sconosciuto ai più:

L’amore di cui abbiamo bisogno qui non è quello che pensi. Non viene dal cielo. Qui l’amore significa soldi. Amore vuol dire fondi, infrastrutture, e insegnanti. Questo è l’amore di cui noi abbiamo bisogno.

Fresco vincitore della categoria Orizzonti a Venezia 79, Blanquita è un thriller che paga pegno alla realtà e di conseguenza a quella si àncora. Della realtà riproduce i moti primi, l’instabilità e la contraddittorietà, e se la prima la riproduce attraverso una pulizia registica e un soundtrack tondo che accompagna gli stati d’animo dei protagonisti, la seconda lo suggerisce per mezzo di una storia interessante. Si ha così sentore di un mondo perfettamente alla rovescia, nel quale la gerarchia tra verità e menzogna è tutt’altro che fissata quando ben fissata lo è quella tra forti e deboli. Ovviamente, forti sopra, deboli sotto. E se si prova a giocare al loro gioco, a portare la verità nello scrigno della menzogna, bisogna saperlo fare, e non essere bianchi, nemmeno di nome. Perché alla fine

Mi stai dicendo che loro possono stuprare, ma io non posso mentire?

Appunto.


Blanquita – regia: Fernando Guzzoni; sceneggiatura: Fernando Guzzoni; fotografia: Benjamín Echazarreta; montaggio: Jaroslaw Kamiński, Soledad Salfate; scenografia: Estefania Larrain, Angela Leyton; costumi: Francisca Román; musica: Chloé Thevenin; interpreti: Alejandro Goic, Amparo Noguera, Marcelo Alonso, Daniela Ramírez, Ariel Grandón; produzione: Tarantula Luxembourg, Bonne Pioche, Madants Sp. z o.o., Quijote Films, Varios Lobos; origine: Cile, Messico, Lussemburgo, Francia, Polonia, 2022; durata: 99’.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *