Creed III di Michael B. Jordan

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Non puoi fuggire dal tuo passato.

Non di soli pugni si vive a questo mondo, e nel 2023 è bene sapere la lezione se no oltre alla figura dell’incivile fai pure quella del retrogrado che, in termini artistici, porta dritto al ridicolo. Creed III afferra il concetto e Michael B. Jordan, alla sua prima regia, confeziona un film piacevole e avvincente con qualche sbavatura in eccesso e il sincero tentativo di ridimensionare quella mascolinità che da sempre è legata a filo diretto con la boxe e che se presa lateralmente può aprire al dialogo e alle emozioni piuttosto che a soli e solitari pugni. Ai destri e sinistri però si ritorna perché in un genere specifico sempre siamo, le regole sono quelle, e qui viene il dubbio: era forse l’occasione per far ampliare il genere e portarlo altrove? Andare oltre le botte, benché queste siano sempre e comunque l’ultima ratio? Boh, rimane il fatto che il ring è una sicurezza, per lo spettacolo e per lo spettatore, e forse ne è pure il limite.

Adonis Apollo (Michael B. Jordan) è in pensione da tre anni. 26 incontri vinti alle spalle, è ora di appendere i guantoni al chiodo. Lo fa con stile: proprietario di palestra insieme a Little Duke (Wood Harris), sposato con la ex-cantante e ora produttrice Bianca Taylor (Tessa Thompson), padre di una bambina sordomuta. La loro vita, tra lingua dei segni e parole dette, si svolge vista Los Angeles. Sembra andare tutto alla grande quando il passato si affaccia all’orizzonte e ha la faccia di Dame Diamond, amico di infanzia ed ex-pugile, che si è fatto vent’anni di prigione in parte per colpa di Adonis e ora

Voglio diventare campione!

E campione lo diventa, giocando sporco e mettendo in difficoltà l’amico. Quella tra loro, Adonis e Dame, è alla fine una resa dei conti, colpe passate e colpe presenti, e per rimettere le cose al loro posto è tempo che Adonis rimetta i guantoni. Dopotutto

Avrò lasciato la boxe, ma la boxe non mi ha mai lasciato.

Nono capitolo della saga di Rocky Balboa, è il primo film senza di lui, Sylvester Stallone. Almeno da attore, perché la firma sulla produzione è la sua, come inevitabilmente il soggetto. Ed è il primo capitolo con Michael B. Jordan come regista. Il film che ne esce è una pellicola di genere e che al contempo il genere cerca di attualizzarlo agli anni venti del XXI secolo. In termini registici Jordan evita sperimentalismi, al massimo attua qualche sfocatura, gioca con i primi piani e si diletta con il soundtrack – non solo rap, anzi -, è invece nel ring che la mdp si fa più attenta riprendendo slow motion e rilasci per conferire una narrazione allo scontro. Funziona, i combattimenti rendono – anche se eccessivo quello finale, con alcuni cliché che sfidano il verosimile e sporcano la solennità ricercata fino a quel punto – ma è il lavoro fatto fuori dal ring quello che si deve apprezzare maggiormente.

Perché alla fine Creed è un film di genere. È bene ricordarlo, perché l’appartenenza gioca come termine di paragone per guardare il film e da ciò se ne possono trarre innovazioni come elementi ricorrenti che trovano naturale giustificazione. Per dirla in parole povere, in ordine sparso: 1) il protagonista deve essere il buono, l’altro deve essere il cattivo (se non pienamente, almeno in parte). 2) il protagonista deve vincere, qualsiasi cosa succeda. 3) sul ring a fare a botte bisogna in qualche modo finire. È su questo punto che il film fa un po’ a pugni con se stesso – in modo anche fertile, lo si deve ammettere – in più occasioni è infatti messa in discussione la violenza e la mascolinità tossica per una visione della persona meno grezza e più approfondita, che possa lasciare spazio alle emozioni più che alle botte.

Non è un caso che la figlia sia sordomuta – belli i dialoghi in lingua dei segni – e che anche la moglie abbia sofferto d’udito fino a lasciare le scene, come è importante che ci sia la ricerca del dialogo piuttosto che violenza pura e cruda. Certo, questo crea dell’imbarazzo al genere stesso, tanto che gli strappi per far tornare Adonis sul ring sono goffi e non sempre pienamente giustificati, ma si apprezzi la dolcezza del tentativo che già aveva i suoi semi nella saga di Rocky e che qui vengono attualizzati.

Creed III è un film deciso e godibile. Continua una saga ben avviata e apre al futuro della stessa, mentre continua a portare avanti il genere nel nostro secolo senza risultare eccessivamente anacronistico ed evitando di affogare nel già visto, almeno non pienamente. Jordan confeziona un bel lavoro di genere senza eccedere troppo – un paio di cose poteva evitarsele, ha evitato però danni peggiori – né mancare, è bravo a dare anima al personaggio ed è probabile che il capitolo successivo non veda più lo stesso tra le corde, ma che un Apollo comunque vi sia. In un certo senso si può dire che sia anche ora, finalmente. Di due guantoni e una lei a indossarli.

Dal 2 marzo in sala.


Creed III – regia: Michael B. Jordan; soggetto: Sylvester Stallone; sceneggiatura: Keenan Coogler, Zach Baylin; fotografia: Kramer Morgenthau; montaggio: Tyler Nelson; musiche: Joseph Shirley; Michael B. Jordan, Tessa Thompson, Jonathan Majors, Phylicia Rashād, Wood Harris, Florian Munteanu; produzione: Metro-Goldwyn-Mayer, Balboa Productions, New Line Cinema, Chartoff-Winkler Productions, Proximity Media; origine: USA, 2023; durata: 116’; distribuzione: Warner Bros.

 

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