Fela, il mio Dio vivente di Daniele Vicari

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Fela Kuti è stato uno dei personaggi più importanti della scena musicale africana. Nigeriano, assieme a Tony Allen, ha inventato l’afro beat, ha prodotto oltre cento dischi, i testi delle sue canzoni sono ancora illuminanti, è stato socialista, ha vissuto a Londra e viaggiato negli Stati Uniti, si è legato alle “Black Panter”, sostenitore del panafricanismo, ha lottato per i diritti delle donne, ha dato vita alla comune di Kalakuta, la “Libera Repubblica”, alimentato il culto della propria personalità, ed è morto, molto probabilmente di Aids, nel 1997 a 59 anni.

Contro di lui il governo nigeriano e chi cercava di imbrigliare la sua creatività. Intorno a lui una pletora di donne (ne ha sposate 27), di fan, di musicisti, di persone che vedevano in lui una guida politica e spirituale.

Tra questi fan c’era anche un italiano, Michele Avantario, che sul desiderio di girare un film su Fela Kuti ha dedicato gran parte della propria vita terminata precocemente nel 2003.

Daniele Vicari ha recuperato il materiale prodotto da Avantario, i video e i diari, e ha creato un racconto di immagini e di parole che più che concentrarsi sulla vita di Fela Kuti, racconta il percorso che un filmmaker e operatore culturale, attivo nella scena sperimentale degli anni ‘80, ha compiuto per riuscire a realizzare un film che non ha mai visto la luce.

Fela, il mio Dio vivente, sostenuto dalla voce di Claudio Santamaria, è una raccolta del meraviglioso materiale di repertorio (quello girato da Avantario come quello raccolto dai vari archivi), montato e musicato con le musiche di Teho Teardo, e che alla fine, seppure senza raccontare molto di nuovo sul musicista, ci porta di peso all’interno di una cultura e di una personalità della quale conosciamo ben poco.

Di Fela Kuti, dicevamo, dal racconto di Vicari, non capiamo moltissimo. Sentiamo le sue parole contro le multinazionali, vediamo alcune scene rubate di lui nella sua comune, lo seguiamo nelle sue apparizioni, nei concerti e nei suoi discorsi pubblici. Di lui, di quello che lo ha creato, di quello che lo ha ucciso, invece, ci rimane poco, anche perché il film che Avantario voleva realizzare, era sempre ostracizzato dal musicista nigeriano, che non voleva che si facessero riprese all’interno della comune di Kalakuta nella quale viveva, che temeva il modo nel quale poteva venire raccontato, che non aveva voglia di venire svelato, che “non voleva essere guardato come gli occidentali guardano i leoni nella foresta”. Avantario ha provato ad avvicinarsi a lui il più possibile. È stato organizzatore di due concerti di Fela in Italia, ma, soprattutto, ha passato molto tempo in Nigeria

Se volessimo avere informazioni sull’importanza e sulla vita di Fela Kuti, molte più informazioni le potremmo trovare nella sua biografia autorizzata, nelle migliaia di pubblicazioni e di saggi scritti su di lui, oppure, più facilmente nelle pagine di Internet o, ancora, ascoltando su Spotify le sue canzoni. Oggi, infatti, nell’era di Wikipedia, fare documentari che raccontano momenti e personaggi della nostra storia che sono stati dimenticati va ripensato ed il cinema non può avere solo la funziona di stimolare la curiosità. Si corre il rischio di venire stritolati dalla quantità di informazioni di cui possiamo disporre in brevissimo tempo. Ed è per questo che la forza del lavoro di Vicari sta proprio in quello che non racconta e non vuole raccontare.

Fela Kuti e Michele Avatario

Poco importa, infatti, sapere il nome delle 27 mogli, poco importa sapere quanti figli ha avuto, oppure come è andata a finire la storia dell’accusa per omicidio messa in piedi dal governo nigeriano. Poco importa, anche, sapere quale era la situazione politica della Nigeria di quegli anni, di chi erano alleati i Capi di Stato, quali erano gli interessi in gioco, cosa faceva l’Italia. Molto più importante, invece, è proprio questo suo soffermarsi sulla relazione tra un documentarista italiano, dai gusti raffinati, bianco, con le amicizie giuste (Avantario – a quanto dice – ha vissuto a lungo casa di Adriano Aprà, una casa frequentata dall’élite intellettuale dell’epoca, da Bernardo Bertolucci in giù) che si trova a confrontarsi con una realtà completamente differente nella quale cerca di entrare. Molto più importante è – come Vicari ha detto anche in una intervista – mostrare che noi “siamo intimamente colonialisti anche quando non vogliamo esserlo”.

Siamo inondati di immagini, film e documentari (soprattutto documentari) nei quali registi partono per due settimane verso luoghi esotici e tornano con la presunzione di aver capito tutto, magari perché sono riusciti a parlare con le persone giuste, o perché hanno mangiato ragni dormendo nelle grotte. Raccontare una realtà, una cultura o anche “semplicemente” un’altra persona dovrebbe, invece, essere una cosa sulla quale fare molta attenzione e andrebbe affrontata con la giusta umiltà.

Cercare di capire e di spiegare altri mondi usando le nostre categorie di giusto e sbagliato, di logica e di coerenza, porta a fraintendimenti e semplificazioni e non dà il giusto valore a modi di pensare che sono meravigliosi proprio perché diversi e inaspettati. Con noi, con la nostra storia, con la cultura che ci ha nutriti fin da quando eravamo in fasce, dobbiamo fare i conti ogni volta che ci confrontiamo con realtà altre, con diverse complessità. Perché non siamo noi i soli ad avere il diritto alla complessità, alla incoerenza, alla possibilità di compiere gesti senza cercare giustificazioni. E Fela Kuti è un personaggio meraviglioso e complicato, così come lo è la comune di Kalakuta. Persone e situazioni alle quali possiamo avvicinarci con molta cautela.

Fela, il mio Dio vivente riesce a schivare il rischio di semplificare e ha in più il grande pregio di riuscire a portare sullo schermo un’atmosfera che nessuna parola scritta è in grado di ricreare, creando accostamenti, relazioni, interazioni, mostrandoci un mondo e lasciandoci liberi di pensare quello che vogliamo pensare.

Che Michele Avantario avesse o meno un atteggiamento colonialista è infatti lasciato agli occhi e alla sensibilità di chi questo film lo guarda. Che il suo essere attratto dalle sessualità delle donne nigeriane o da una forza che probabilmente non era riuscito a trovare nell’Occidente può anche essere una chiave, magari semplicistica, per capire il perché la musica e la cultura di Fela Kuti lo affascinasse così tanto.

Sicuramente Avantario ha vissuto in prima persona le difficoltà di interagire con un personaggio perfettamente consapevole della propria forza e della propria capacità di comprendere il contesto nel quale era inserito. I mille problemi che Fela Kuti ha creato le poche volte che è venuto in Italia, le mille discussioni e le mille volte in cui gli ha vietato di fare un film, o il ritrovamento, delle sole immagini, senza audio, dell’unico film che aveva acconsentito a realizzare, sono tasselli che Vicari aggiunge al racconto di un periodo (gli anni Ottanta in Italia e nel mondo) pieno di ricchezze, di meschinerie, di contraddizioni, violenze e speranze che non si erano ancora sopite e che oggi sembrano appartenere ad un tempo che non potrà più tornare. E che non va dimenticato.

Presentato in anteprima alla Festa di Roma del 2023
In sala dal 21 marzo 2024


Fela, il mio Dio vivente – Regia: Daniele Vicari; sceneggiatura: Daniele Vicari, Greta Scicchitano, Renata Di Leone; fotografia: Gherardo Gossi; montaggio: Andrea Campajola; musica: Teho Teardo; suono: Marco Saitta; voce narrante: Claudio Santamaria; produzione: Renata Di Leone, Giovanni Capalbo per Fabrique Entertainment, Cinecittà, Lokafilm, Grasshopper Films Italian; origine: Italia/ Slovenia/ Gran Bretagna, 2023; durata: 90 minuti; distribuzione: Luce Cinecittà.

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