Lobo e Cão di Cláudia Varejão

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Nel 18esimo secolo, una regione nascosta della corteccia celebrale fu battezzata Insula. Questa area isolata, separata dall’esterno e con la forma di un’isola, è dove il mistero delle emozioni risiede.

Un’isola è luogo di contrasto perché spazio isolato e trafficato, per natura umana. Non è quindi casuale che lì tanto avvenga e che chi ci viva sia strattonato da destra dalla tradizione e da manca dal progresso, e che per sopportare il tira e molla guardi avanti, dove finisce la terra e inizia l’oceano prima che nuova terra ricominci. Laggiù dove non si deve decidere, dove si possa semplicemente vivere. Lobo e Cão, (titolo internazionale Wolf and Dog, in Concorso alle “Giornate degli Autori”), parla di crescita odierna, tra identità di genere e orientamento sessuale, in un arcipelago, quello delle Azzorre, dove la cristianità è anima pulsante e le nuove generazioni lo sono altrettanto. Le anime possono scendere a patti? Sì, se entrambe fanno un passo verso l’altra, e se ciò non avviene, almeno si racconti il tentativo, perché

La geografia di un’isola è metafora per ciò che avviene all’interno. Identità circondate da infinite possibilità che solo i fortunati osano raggiungere ma la fortuna è una qualità che dimora dentro ognuno di noi.

Ana è una ragazza delle Azzorre e sa che la Terra gira intorno a se stesso da qualche migliaio di milioni di anni e che l’umanità fa lo stesso da qualche migliaio: l’uomo ha dei doveri, la donne pure, e uno di questi è badare alla famiglia. Dopotutto, sua nonna diceva che il cordone ombelicale di una neonata doveva essere bruciato in forno perché lì, la cucina, era il luogo a lei deputato. Luis è un ragazzo delle Azzorre e benché sappia che Terra e umanità fanno le piroette da una manciata di tempo, mostra la sua omosessualità e sfida il background cristiano insulare. Ana e Luis si trovano, scrutano il mondo intorno a loro e non capiscono se li possa contenere. È una gabbia o meno? E nel caso: «perché lo tengono in gabbia? Per farlo sopravvivere, credo». Un giorno però Luis parte per il pellegrinaggio dell’isola e un giorno arriva Chloé, amica dal Canada, giunta a trovare Ana, e ciò che era avviato è ora in corsa frenetica, e nel correre non si può più evitare rovi e rametti, li si spezza, soprattutto se questi non si vogliono piegare.

Cláudia Varejão firma una pellicola di amore e fastidio, fastidio e amore nei confronti di Sao Miguel. Le isole sono di per sé un habitat ancestrale nel quale l’abitante si riconosce e si differenzia così dai continentali, ciò non è solo consapevolezza razionale ma pure inconscia con il suo bagaglio di suoni e di colori. Il canto delle balene fa da sfondo ai pensieri e azioni, sdoppiandosi scandisce i tempi stagionali e quelli giovanili mentre le virate di tonalità bluastre rimandano a un oceano che non ferma le sue onde alle coste. Nel mezzo di questi domini di colore le sfumature dei vestiti portoghesi entrano in contrasto con una generazione che porta nuove tinte, quelle altrettanto forti ma timidamente esagerate dell’universo queer, e con esse nuove concetti che la tradizione mal digerisce. Tra volti scavati dal sale e occhi ritoccati si arriva così a una processione dove davanti alla madonna cammina la mentalità di un tempo e dietro quella attuale, senza che nessuno osi alzare un dito. Almeno fino a quando la tradizione guarda indietro, una due volte, e a forza di guardarsi (al)le spalle, indietro decide di ritornare.

Crescere è di per sé un processo di

trasformazione, lo è doppiamente, in fatica e in intenzione, se la tua terra non ti accetta per ciò che sei.

È un peccato, volere?

Chiede la protagonista, e la madre sospirando ammette: «Non so cosa fare con Ana, non c’è nulla che la rende felice». Così c’è chi vuole essere se stesso dove si trova e chi capisce che per essere se stesso deve andare oltre, al di fuori, in continente. Perché nelle tue terre tu sei il diverso e così lo sono i tuoi amici che si vestono da donna (crossdressing) o donne si sentono (trasgender) o semplicemente hanno un altro orientamento sessuale, e per farti cambiare idea, o per curarti, prima ti fanno camminare per l’intera isola in cerca della fede e poi quella fede te la impongono con una mano sulla testa e un esorcismo praticato. Ma in realtà è solo paura del differente e cecità di occhi: la fede è sempre stata lì, dentro e negli occhi della persona. Così a esorcismo risponde il battesimo queer e l’entrata in una nuova famiglia, in una nuova fase della propria vita. Lacrime a riguardo? No, perché

Una vera nancy piange solo lacrime glitterate

Lobo e Cão tratta una tematica forte, attuale, e il messaggio non viene disperso perché ancorato a un background fisico e psicologico (antropologico) come il panorama insulare. Nonostante alcuni eccessi di didascalia, il film mantiene credibilità e la volontà di integrazione dei giovani, tanto quanto l’opposizione locale, è l’ingrediente che spezia la pellicola. Tra i pallori di quel mondo, quelle isole, lo sguardo dello spettatore discende la scaletta e pian piano arriva in vista dell’oceano. Da là risuona il richiamo sempiterno delle balene, appartenente alle profondità delle acque e delle anime, e

Perciò dobbiamo guardare al mare e credere che è dove tutto inizia. Guardare fuori è guardare dentro.

E dentro c’è solo e soltanto l’umano.


Wolf and Dog Lobo e Cão regia: Cláudia Varejão; sceneggiatura: Cláudia Varejão; fotografia: Rui Xavier; montaggio: João Braz; scenografia: Nádia Santos Henriques; musica: Xinobi; interpreti: Ana Cabral, Ruben Pimenta, Cristiana Branquinho, Marlene Cordeiro, João Tavares, Nuno Ferreira, Mário Jorge Oliveira, Luísa Alves; produzione: Terratreme Filmes, La Belle Affaire Productions; origine: Portogallo, 2022; durata: 111’.

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