Festival di Cannes (2024): The Apprentice di Ali Abbasi (Concorso)

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Scritto dal giornalista e scrittore americano Gabriel Sherman e diretto dal regista iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi, The Apprentice ripropone una ricostruzione, pur romanzata ma credibile, della scalata al successo di Donald Trump.

Grazie all’avvocato Roy Cohn (Jeremy Strong), un Donald (Sebastian Stan) ancora nel fiore degli anni, fisico atletico e una leggera somiglianza all’attore hollywoodiano Robert Redford, riesce a vincere una causa – data per persa in partenza – contro lo Stato di New York, ed ottiene così una riduzione delle tasse per la sua azienda immobiliare, a spese della popolazione newyorkese. Se le trame politiche ed i processi giudiziari del magnate ed ex presidente degli Stati Uniti, sono bene o male fatti noti, sono probabilmente meno di dominio pubblico i suoi rapporti di amicizia e collaborazione con Roy Cohn, la tragica fine della storia d’amore con la moglie Ivana Zelníčková (Maria Bakalova), così come la figura dominante del padre e il tragico suicidio del fratello.

Sempre grazie all’amicizia e ai consigli di Cohn, Trump inizia a frequentare i parties più in voga ai quali partecipa la ricca società newyorkese, fra questa, ritroviamo ben riconoscibili Rupert Murdoch e Andy Warhol (che Trump, invece, sembra non sappia riconoscere). La nuova rete di relazioni e contatti gli permette di costruire i suoi grandi progetti immobiliari: la Trump Tower, alta ben 68 piani e Atlantic City, su cui nessuno al tempo faceva affidamento, visto il completo degrado in cui tutta la zona si trovava. Il titolo del film, letteralmente “L’apprendista” si riferisce al rapporto paternalistico e di maestro che Cohn si assume nei confronti del giovane imprenditore immobiliare, tanto da insegnarli – così almeno nella fabulazione del film – le sue tre fondamentali regole: dall’attacco-attacco-attacco al rinnega sempre, e al mai ammettere la sconfitta. A questi insegnamenti base, Trump aggiunge di suo l’idea, ereditata dal padre, che nella vita bisogna agire da killer, per non venire a sua volta mangiati da altri. Di conseguenza, imparata l’arte e raggiunto il successo,Donald, alla notizia della malattia per AIDS del compagno di Cohn (l’avvocato non nascondeva la sua omosessualità) lo pianta in asso e, nello stesso misero modo lascia la moglie – nel film, una cruenta scena di violenza sessuale, basata su una reale accusa di Ivana al marito durante il processo di divorzio, ha già scatenato l’ira di Trump che ha giudicato il film nientemeno che “pura immondizia” e lo vuole querelare.

L’interpretazione di Trump che Sebastian Stan ci consegna, è a dir poco impressionante. Pochi mesi fa, alla Berlinale avevamo potuto ammirarne la sua bravura in un altro impeccabile ruolo, dove impersonava un attore alle prese con problemi di identità in A Different Man, un ruolo per cui aveva ricevuto l’Orso d’argento per la migliore interpretazione. Ma nemmeno la versione di Cohn data da Jeremy Strong è meno straordinaria. Senza la loro bravura mimica il film non sarebbe riuscito a convincere ed ad appassionare come invece fa.

Il problema di fondo è forse un altro, ed è, se veramente ci fosse bisogno di un film sul tycoon americano in un momento particolare come quello che stanno vivendo gli Stati Uniti ora, con un processo per falso in bilancio e frode e nuove elezioni alle porte. Ci si chiede perché Abbasi, regista conosciuto per un tutt’altro genere di narrazione (Border – Creature di confine, 2018; Holy Spider, 2022) abbia voluto portare sugli schermi questo quasi perfetto ritratto, per certi versi affascinante, della controversa figura di Donald Trump.  Il rischio è sempre quello di perpetuare un mito, di riproporre l’immagine di un eroe, o del self made man americano, come per molti Trump già è. E anche in questo caso, come è avvenuto in Italia per Silvio Berlusconi, porre le qualità – certamente da non sottovalutare – ma anche il piacere per il rischio, la sfacciataggine e l’ipocrisia senza rimorsi di chi non bada ai mezzi per fare carriera e ottenere i suoi scopi, al centro di un film di finzione, che ha appunto lo scopo di intrattenere, forse non era indispensabile. Il biopic non è sempre il mezzo più adatto a cui affidare la critica di un personaggio reale.

In ogni caso Ali Abbasi, sfruttando un ritmo serrato, un’ottima sceneggiatura e un ricco set design ci propone un film di grande intrattenimento e di buona qualità che ritroveremo probabilmente presto nei cinema.


 The Apprentice – regia: Ali Abbasi; sceneggiatura: Gabriel Sherman; fotografia: Kasper Tuxen; montaggio: Olivier Bugge Coutté, Olivia Neergaard-Holm; musica: Martin Dirkov; interpreti: Sebastian Stan, Jeremy Strong, Maria Bakalova, Martin Donovan; produzione: Scythia Films, Profile Pictures, Tailored Films, Kinematics; origine: Canada/ Danimarca/ Irlanda/Usa, 2024; durata: 120 minuti.

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