Festival del Cinema Tedesco: Toubab di Florian Dietrich

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In apertura al “Festival del cinema tedesco” di Roma (https://close-up.info/festival-del-cinema-tedesco-ii-edizione-roma-24-27-marzo/) Toubab, opera prima di Florian Dietrich, una sorprendente commedia in salsa multietnica, contro separazioni razzismi omofobie, libera da schematismi e leggera come la giovinezza dei protagonisti: coraggiosi, estremi, sperimentali, folli e inconsapevoli dei propri limiti.

Babtou esce di carcere. Ha ventisette anni, è un senegalese trapiantato in Germania da piccolo, alto, magro, dai tratti lievi e gli occhi grandi. Sorride scherzando con Dennis, l’amico che è andato a prenderlo appena fuori il penitenziario, sorride mentre corrono veloci in macchina verso casa. Durante il percorso incrociano altri del gruppo: mezzi malfattori, mezzi spacciatori, mezzi picchiatori. Tutti entusiasti all’idea di ritrovare il compagno che ha passato gli ultimi tempi al fresco con le macchine bloccano il traffico, sprezzanti degli altri guidatori che chiedono di passare, sono i re della strada, scherzano, ridono, si fanno battute e ostentano la sicumera bastarda di chi pensa di stare dalla parte giusta solo fuori dalle regole. Sopraggiunge però la polizia e Babtou si ritrova, poco dopo esserne uscito, di nuovo in mano ai poliziotti. Cosa succede? Non ha il permesso di soggiorno (è scaduto), se entro un mese non trova un lavoro e/o qualcuno che lo metta in regola dovrà tornare al suo paese, in Africa. L’illegalità non contribuisce alla soluzione di un problema serio di immigrazione, anzi lo ostacola.

Le prime idee di Babtou sono fallimentari. Incontrando al fast-food una compagna di scuola sovrappeso nel momento esatto in cui Dennis suggerisce “oppure potresti sposare una tedesca”, dapprima rifiuta l’evocazione della situazione ma, la scena successiva, lo vediamo bussare a una porta con una rosa in mano e dire “ti amo” alla grassona, dopo averle detto di ricordare la lettera che lei gli ha inviato a scuola… La donna ride, gli dice di aspettare fuori dalla porta, torna sull’uscio con telefono e gli fa ripetere la scena, chiudendo con la battuta: “domani cercati su YouTube all’hashtag #cretinorespinto”. Babtou non capitola, insiste, bussa alle porte di tutte le ragazze con cui è finito a letto prima di andare in prigione: accumula rifiuti, porte in faccia, risate sguaiate, insulti. Nel frattempo ha trovato alloggio a casa di un amico spacciatore trovato in possesso di quantità sufficiente per restare dentro per sei mesi. Salendo in ascensore incontra una donna che gli piace che lo aggredisce malamente solo per il fatto di essere stata fissata. I punti di riferimento del giovane uomo restano pochi, solo il fedele Dennis e la certezza di non voler tornare in Senegal.

Come fosse un gioco i due amici si sposano, la legge glielo consente. È un attimo che l’appartamento viene trasformato in gay friendly, le dinamiche tra i due acquisiscono modalità matrimoniali in maniera così convenzionale da divenire comica persino ai loro stessi occhi, facilmente assumono i connotati di marito e moglie, in cui il nero fa la parte dell’uomo e il biondo della donna.

Il dipartimento immigrazione li convoca. Da amici stretti quali sono rispondono esattamente alle domande incrociate in due interrogatori separati (solo sull’ultima, sulla frequenza del sesso, differiscono: Babtou dice tre volte per notte, Dennis una volta a settimana), ma non sarà così facile sfuggire all’attenzione dei due agenti che si occupano del caso: un quarantenne demotivato e una donna spigolosa, maschile, pragmatica.

La bella vicina di casa, Yara, li invita a una festa. Gli altri ospiti sono una coppia gay mediorientale, in Germania sotto asilo politico. Fanno una pratica magica, con un capello di ognuno e del sale versati in una pentola d’acqua e poi ci vanno attorno a formare un cerchio e, colui che ha condotto la situazione, tutto d’un tratto sbatte la mano a schiaffo nella pentola: era una boutade, tutti bagnati ridono, già obnubilati da fumi e alcol. Si spostano in un locale gay dove si fanno di anfetamina, l’atmosfera assume i contorni psichedelici di baci diffusi, balli sensuali, colori e emozioni accese. Babtou dice a Yara: “Hai gli occhi più blu che ci siano”. Lei risponde allegra: “Sono marroni!”. Tornando a casa passano dal parco dove piantonano gli spacciatori che, ignoranti e violenti, provocano con offese verbali contro froci e lesbiche. Babtou protegge i nuovi amici “diversi” picchiando uno dei tipi, che conosce dalla sua vita precedente, e questa cosa non piacerà a Cengo, il piccolo boss di zona, col quale avrà un dialogo – apparente resa dei conti – davanti a un panorama di binari e luci della città dalla periferia.

Tra parenti incazzosi, sotterranei innamoramenti trasversali, libertà sessuale e intellettuale, svolte e giravolte caratteriali il film dipana un momento preciso nella vita di un uomo che cambia attraverso difficoltà, spostamenti di punti di vista, accettazione della diversità e, forse, una più leggera visione della vita. Non privo di dura realtà sociale – seppur talvolta edulcorata da una linea di commedia – Toubab accoglie lo spettatore, lo distrae, lo allieta, lo fa pensare.


 Toubab; Regia: Florian Dietrich; sceneggiatura: Florian Dietrich, Arne Dechow; fotografia:   Max Preiss; montaggio:  Jörg Volkmar, Florian Dietrich, Heike Parplies, Robert Kummer; musica: Jacob Vetter; interpreti:  Farba Dieng, Julius Nitschkoff, Seyneb Saleh, Nina Gummich, Paul Wollin; produzione: Schiwago Film; distribuzione: Camino Filmverleih; origine: Germania, Senegal, 2021; durata: 96’.

 

 

 

 

 

 

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