Così poco si conoscono le donne: Fantasme di Guido Lomoro

Uno. Trino. Centomila.

Uno spettacolo sul ruolo della donna è il più delle volte un azzardo. Se non un azzardo, un rischio. È certo materiale rovente che deve essere gestito al meglio perché rischia di chiudersi in dicotomie – uomo vs donna – che nell’opporsi ciecamente a un polo trascina con sé l’altro e lancia una faida teatrale senza fine e, lo si dica, senza scopo. È allora importante saperlo usare lo spazio teatrale – parole voci corpi vestiti -, sfruttare ciò che è definito e ciò che è indefinito per rilanciare a una dimensione altra che può ovviamente nascere da uno dei due poli, la donna, ma deve poi mirare ad abbracciare tutto il resto: non solo l’uomo, ma l’universale umano. L’Uomo. Qui non vi sono aguzzini e vittime, vi è l’umanità e la possibilità di riscoprirla con ciò che vi è di più intimo e primordiale: la natura. E allora si torna a lei, una donna come Uomo (Uno), che diventa tre attrici sul palcoscenico e tre personaggi alla volta in gioco (trino) e poi diviene tutti (Centomila), prima di tornare all’Uno, quello iniziale. Nel frattempo si è fatto il giro della Storia, o forse, in realtà, non ci si è mai mossi.

Tre epoche, due limbo, nove personaggi. I primi tre nascono separati, si fanno groviglio e infine si divincolano senza poter distaccare le proprie coscienze perché l’una ha bisogno delle altre per raccontare e, nel raccontare, diventare. Gaia Lavinia Volumnia, Ipazia etrusca, è donna di amore assoluto e di assoluto dolore quando perde l’amato; Bianca Lancia è concubina di Federico II che alla gelosia risponde con l’azione, oltre le mura del castello, a precipizio verso il fondo; Bianca Maria Malaspina è l’albina, troppo bianca perché gli altri non vi cerchino il nero sotto la pelle e la releghino infine nel nero più profondo, l’oscurità delle segrete.

La musica travolge, gli argani si mettono in movimento e i corpi si contorcono. Non c’è aria, manca l’aria. La coscienza, quella unica e trina del primo quadro, si frammenta nelle singole storie. Attraversa il pubblico Artemisia Gentileschi che la società non ha risparmiato, non solo quella contemporanea a lei ma pure quella del XX secolo che le rivoltò il sepolcro. Rincorre l’altra Beatrice Cenci che perse la testa (materialmente) per aver voluto ribellarsi. Avanza Lucrezia Borgia che era giorno e notte, sangue e denaro, puttana e amante. Insomma, fertile ambiguità. E l’ambiguità ha poco spazio nella società tutta, per lei, come per le altre due.

Tratto dal libro Fantasme. Da Messalina a Giorgiana Masi di Claudio Marrucci e Carmela Parrisi (Fefè Editore), le venticinque fantasmE diventano nove per l’adattamento e regia di Guido Lomoro con interpreti Maria Concetta Borgese, Marta Iacopini, Silvia Mazzotta. Lo spettacolo che ne esce è intenso e godibile. Diverse trappole potevano tendersi alla messa in scena di questo tema, la rivendicazione del ruolo e della figura della donna nella nostra contemporaneità. Il topic è fondamentale, anzi, è fondante, ed è per questo motivo che la scelta di come declinarlo rischia spesso di far errare coloro che vogliono trattarlo. A volte volutamente in eccesso, certo, ma a che pro? Il messaggio finale è spesso uni diretto, magari efficace, eppure non fecondo di riflessioni che possano effettivamente aiutare la causa. Non è però questo il caso.

Vite di Fantasme sono queste e le fantasme tornano sussurrando una verità: «Così poco si conoscono le donne». La frase è deliziosamente double face, coinvolge l’uomo e la donna, e indica la donna come possibilità per l’altro, l’uomo, di riscoprirsi Uomo. Spinta da una musica che si fa arma contro il pubblico e poi culla per il pubblico stesso (composta ed eseguita dal vivo da Theo Allegretti), sostenuta da movimenti che creano opposizioni e attrazioni (coreografia di Maria Concetta Borgese), l’opera insiste sull’indefinito che appartiene alla natura primordiale. Una natura, la Terra, che le fantasme non abbandonano mai in quanto esseri umani e che la Storia può cercare di categorizzare ma che poco può contro il Tempo che, la Storia, finisce per annacquarla e scioglierla: la società vuole recintare e la società vuole decidere, ma arginare la cascata, ciò che è nato per correre liberamente, è solo dispendio di energie.

Ultimo quadro: le tre attrici fuggono nel limbo e alcune rinascono novecentesche. Il discorso si eleva. Non è più la società sola che cerca di incastrarle, è la Storia. E alla Storia che fa fronte comune rispondono le storie delle donne che rimbalzano tra loro per dare forza alla singola come all’unisono: ognuna parla per sé, ognuna parla per l’altra, ognuna parla per tutte. Rita Rosani ricevette un pallottola in testa da un repubblichino perché oppostasi al rastrellamento. Giorgiana Masi, diciannove anni, cadde durante una manifestazione pro divorzio, a ucciderla una testa solitaria o un agente in borghese. Non proprio la stessa cosa contando che una pistola qualcuno, poi, l’ha veramente alzata e ha fatto fuoco.

E infine lei, Bianca Maria Martinengo: il mondo la voleva parte di sé, ma era un mondo patriarcale e di armi, e lei preferiva animali e boschi. Morì, tiepidamente, cercando di afferrare lucciole dai merli di un maniero. Nel silenzio, senza disturbo. Tra grilli e uccellini. E dal frinio e cinguettio il racconto si fa eterno, supera i generi utilizzando lei, Bianca Maria, donna, e la sua passione, la Natura, come trampolini per andare oltre il conflitto uomo e donna. Si parte dallo spazio scenico (terra feconda) e si va oltre, oltre il corpo e nel corpo Umano, nei luoghi (in)definiti del pensiero chiamati Umanità. Il groviglio è così ripristinato e di nuovo si è Una, Trina e Centomila. E nessuno ne è escluso. Né donne, né uomini.

Dal 10 al 15 maggio presso TeatroSophia


Fantasmeregia e adattamento: Guido Lomoro; soggetto: dal libro Fantasme. Da Messalina a Giorgiana Masi di Claudio Marrucci e Carmela Parissi (Fefè Editore); coreografia e movimenti scenici: Maria Concetta Borgese; scenografia: Enzo Piscopo; disegno luci: Adalia Caroli; costumi: Tania Orsini; musica: Theo Allegretti; interpreti: Maria Concetta Borgese, Marta Iacopini, Silvia Mazzotta.

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