BARDO, Falsa crónica de unas cuantas verdades di Alejandro G. Iñárritu & Un couple di Frederick Wiseman

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Definizione del Dizionario Treccani: Bardo 1.Nome che designa gli antichi poeti cantori dei popoli celti, simili agli aedi dei Greci; 2. estens. Poeta, cantore in genere.
Ps.: Ma mi si suggerisce anche che “Bardo” è un termine buddista per indicare la fase intermedia tra due esistenze nel ciclo della reincarnazione. Chissà che il sottotitolo “cronaca falsa di alcune verità” si riferisca a questa altra ipotesi.

In ogni caso, secondo dei ben quattro (!!) film Netflix in Concorso questo anno a Venezia dopo il modesto White Noise di Noah Baumbach, BARDO, Falsa crónica de unas cuantas verdades,  il nuovo film di Alejandro G. Iñárritu – mancava dagli schermi dai tempi di Revenant – Redivivo (2015) è quella che si definirebbe un’opera one-man-Band, dato che l’autore messicano, oltre alla regia, ha firmato sceneggiatura, montaggio e persino musica e produzione in questo torrenziale opus di 178 minuti. E, in primis, ha voluto cantare e poetare, in modo chiaramente autoreferenziale, il suo sofferto rapporto artistico e di Weltanschauung tra la sua patria d’origine e gli Stati Uniti, un conflitto interiore che è stato ed è quello che attraversa molti altri suoi colleghi messicani-hollywoodiani . In questo intento direi che per primo ha voluto confrontarsi con la grandiosità espressa dall’Alfonso Cuarón di Roma (2018)  – film ancor più esplicitamente autobiografico e memoriale, altra produzione Netflix, anch’essa passata con grande successo al Festival di Venezia del 2018 (e Leone d’Oro).

Qui non siamo a Città del Messico agli inizi degli anni Settanta bensì  (in larga parte) nel presente per seguire – in un complesso tessuto narrativo che va su e giù nel tempo e che attinge alla memoria storica e ai traumi del Messico – il personale viaggio di Silverio (Daniel Giménez Cacho), un noto giornalista messicano, diciamo anticonformista e di sinistra oltre che brillante documentarista, nel pieno di una crisi esistenziale, forse la classica crisi della mezza età che lo tormenta. Un viaggio iniziatico che parte da una sorprendente comunicazione, una surreale affermazione in off secondo cui Amazon starebbe per acquistare la parte settentrionale del Messico che quindi passerebbe sotto  giurisdizione americana.

Dunque attraverso la figura di Silverio e tramite i suoi legami familiari, attuali e passati, Iñárritu costruisce una sorta di ciclopica seduta psicanalitica che investe non solo i problemi e i dubbi personali dell’uomo – che sono spesso quelli di qualunque intellettuale stretto tra tornaconto individuale, necessità di barcamenarsi e idealità politico sociali – ma anche quelli drammaticissimi del suo paese d’origine (molto bella la sequenza di un capo narcos che irride all’impotenza dell’umanità e della democrazia).

Sempre in dubbio dove vivere e restare a vivere, il protagonista continuamente ondeggia tra opzioni diverse e in lui si riflettono come in un prisma tutte le domande che lo riguardano rispetto all’identità, al successo, alla fragilità della vita quotidiana, ai forti legami sentimentali che condivide con la moglie e i figli. Ma è soprattutto al passato, al padre e alla storia patria che chiede aiuto per poter cercare delle risposte alle domande che continuamente lo assillano.

Il film quindi segue, pedina passo passo un gigantesco fiume carsico di emozioni, ricordi, speranze e delusioni, verità (l’endemico razzismo yankee contro i latinos) o mezze verità, oltre agli inganni e le menzogne obbligate, in cui si avvicendano momenti e visioni straordinarie (costruite dalla formidabile fotografia del mago della fotografia Darius Khondjii) a delle sequenze più scontate e banali in cui Silverio si confronta con se stesso o il suo passato.

Con BARDO il regista di Città del Messico conferma un innegabile, grandioso talento visivo e di scrittura assolutamente fuori dall’ordinario – film rigorosamente da vedere sul grande, grandissimo schermo – ma si ha come l’impressione che tramite un montaggio più serrato, togliendo delle sequenze ridondanti e un poco scontate, avrebbe meglio sgrezzato e reso ancora più efficace questo suo ultimo film-diamante. In esso talvolta il meraviglioso e il banale si susseguono senza soluzione di continuità ma ciò non ci impedisce di apprezzarlo grandemente (e assegnargli quattro stelle), anche di più di quanto sembra sia stato accolto qui a Venezia da una parte della critica. Speriamo che possa uscire anche in sala prima che Netflix lo trasmetta sul proprio canale, presumibilmente a fine anno.

Terminiamo con poche righe per esprimere una cocente delusione. Tanto quello di Alejandro G. Iñárritu ci è risultato un film imperfetto ma straordinariamente vitale, lunghissimo e lutulento ma mai veramente noioso, tanto i 63 minuti di Un couple (valutazione: ** e mezzo) del grande cineasta bostoniano Frederick Wiseman ci sono apparsi interminabili e di un tedio assoluto.

Si tratta, molto malfatta ed americanizzata, di un’opera alla maniera della coppia di due grandi e purtroppo oggi quasi dimenticati cineasti francesi Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, rispetto al cui straordinario lavoro di filmare la letteratura purtroppo manca qui  il rigore assoluto, giansenista della loro messa in scena.

Attraverso un montaggio di lettere e di diari di Sophia Tolstoj, la moglie di Lev, in un  monologo recitato da Nathalie Boutefeu, si vuole narrare la lunga, tormentata relazione tra i due che hanno vissuto quarantotto anni insieme e avuto ben tredici figli. Alla sola parola e a delle immagini naturale sul mare è affidato dunque il compito di ricostruire una turbolenta storia d’amore, tra alti e bassi, con le varie crisi di coppia che hanno solcato un  rapporto segnato da grandi discussioni, momenti di felicità e anche dalla morte di alcuni figli. Un esemplare caso di fedeltà coniugale malgrado le tempeste.

Ci si domanda però come mai mettere in Concorso un lavoro del genere, così fragile e contraddittorio quando Wiseman ci aveva abituato a delle osservazioni di tutt’altro spessore intellettuale e visivo.


BARDO, Falsa crónica de unas cuantas verdades – Regia: Alejandro G. Iñárritu; sceneggiatura: Alejandro G. Iñárritu, Nicolás Giacobone; fotografia: Darius Khondjii; montaggio: Alejandro G. Iñárritu, Mónica Salazar; scenografia: Eugenio Caballero; costumi: Anna Terrazas; musica: Bryce Dessner, Alejandro G. Iñárritu; interpreti: Daniel Giménez Cacho, Griselda Siciliani, Ximena Lamadrid, Iker Sanchez Solano, Andrés Almeida, Francisco Rubio; produzione: M Productions, Redrum; origine: Messico, 2022; durata: 174; distribuzione: Netflix.

Un couple Regia: Frederick Wiseman; sceneggiatura: Frederick Wiseman, Nathalie Boutefeu; ; fotografia: John Davey; montaggio: Frederick Wiseman; musica: Felix Mendelssohn; interpreti: Nathalie Boutefeu; produzione: Wat Films / Zipporah Films; origine: Francia, USA, 2022; durata: 63’

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