Fairytale – Una fiaba di Aleksandr Sokurov

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Fairytale – Una fiaba, l’ultimo sorprendente film di Aleksandr  Sokurov, si pone prima di ogni cosa come un prodigio dal punto di vista tecnico ed estetico per un duplice motivo: non solo è costruito sull’interazione tra le grandi figure di capi e dittatori politici del ‘900 (Stalin, Mussolini, Hitler e Churchill) rappresentate attraverso l’utilizzo di materiali d’archivio come se fossero una nuova frontiera digitalizzata del corpo performativo attoriale;  questo lavoro di ridefinizione e trasformazione delle immagini, a detta dello stesso Sokurov, è inoltre avvenuto secondo un’accurata e filologica ricerca di ogni singolo fotogramma delle apparizioni pubbliche di questi altisonanti e iconici personaggi , con relativi discorsi trascritti parola per parola, da lui e dal suo gruppo di collaboratori, con un lavoro di manipolazione, nel senso letterale del termine, quasi artigianale, legato all’essenza materica del cinema ,pur  evocandone paradossalmente il suo aspetto più immaginifico e fantasmatico.

Si tratta, tenendo conto solo di questa  prospettiva, di sperimentare ulteriori possibilità del linguaggio cinematografico, in cui l’utilizzo del found footage, ovvero il riassemblamento di video e filmati provenienti da archivi differenti in un altro contesto narrativo e formale, non si limita ad essere solo innesto o effetto, o  ad avere una funzione documentale/informativa oppure evocativa e suggestiva; è proprio tutta l’architrave dell’intreccio a fondarsi sulla presenza e l’esistenza di quei filmati e quei video, riconoscibili perché appartengono ad un immaginario collettivo e ormai assimilato dalla multiforme quantità di mezzi di riproduzione e di fruizione , eppure spiazzanti nel loro porsi in un ‘inedita alterità rispetto a quello che conosciamo e a come lo abbiamo visto e introiettato. Non si tratta dunque di un semplice dettaglio, perché l’effetto straniante rimane costante nel percepire queste figure storiche immerse  in una situazione poeticamente trasfigurata nelle fattezze di una specie di canto purgatoriale della Divina commedia (l’adattamento dell’intera opera dantesca è un progetto che Sokurov aveva annunciato prima di realizzare questo film): a cominciare da Stalin, il primo “personaggio” che ci viene presentato al fianco di un afflitto e agonizzante Gesù Cristo, in  attesa di una chiamata divina dal “padre”  che non arriva (forse perché condannato eternamente a sacrificarsi per i peccati compiuti dai tre tiranni a cui viene audacemente accostato anche Churchill), tutti si trovano all’interno di una sorta di limbo figurativamente rappresentato come un bosco in rovina  attraversato da suggestioni pittoriche (le incisioni di Piranesi e Durer e le opere di Hubert Robert in una dialettica tra magnificenza e decadenza, onirismo e allucinazione), aspettando di sapere se varcheranno le soglie del paradiso o dell’inferno. Nel frattempo si confrontano e si misurano tra di loro(ognuno doppiato da un attore nelle  diverse lingue d’origine, per cui è obbligatoria la versione sottotitolata), in un agonismo egotico sui cui il regista russo cala il proprio spirito dissidente, in continuità con le sue opere precedenti sul potere e i potenti generati dalle derive ideologiche del secolo breve. E la luce/lucidità demistificante dell’ironia, qui come non mai, fa slittare il senso di qualsiasi traccia di trionfalismo  e smaschera gli inganni delle false percezioni di sé .

La sequenza roboante dove soprattutto gli esaltati Mussolini e Hitler, e in maniera più sarcastica e diffidente Stalin, cercano di arringare la folla ormai accalcata in un flusso di corpi e di volti deformati in tratti alla Francis Bacon ( in una  graduale mutazione visuale dal concetto di massa a quello di individuo) indica proprio questa separazione , la frattura insanabile tra i promotori di una visione  magniloquente della Storia e i (presunti) destinatari che ne furono gli adoranti e inermi sostenitori;solo in seguito diventarono le vittime sacrificali di un culto della personalità individuale che aveva fagocitato ogni desiderio di riscatto e giustizia .

In quell’arena in cui si (ri)celebra  la corrida sfrenata del consenso propagandistico c’è  il controcampo di una pur simbolica e astratta rappresentazione del popolo, quando al contrario in altre opere di Sokurov, come in Moloch, in cui già aveva messo a nudo la retorica hitleriana e quella del suo entourage,  o Il sole, incentrato sull’alternanza tra imperturbabilità e ambiguità dell’imperatore giapponese Hirohito, tutto si consumava nella dimensione psicotica delle proprie stanze e dimore private, con l’eco potentissima di un fuoricampo di distruzione e di morte. Uno scenario dagli echi espressionisti che rievoca anche le scenografie distopiche del langhiano Metropolis, come ad annunciare qualcosa che è già avvenuto e che potrebbe rigenerarsi dalle ceneri di un excursus di segni e di significati non privato della sua parte di malsana fascinazione.Un meccanismo per il quale era vitale l’incondizionata e acritica adesione, e la conseguente, disumana repressione nel sangue di dissidenze e dissonanze.

Proprio per questo , con una felice intuizione che raddoppia, anzi triplica l’ontologica portata metacinematografica di Fairtyle, ci sono almeno tre versioni differenti per ogni Hitler, Mussolini, Stalin e Churchill, simbolicamente rappresentate dal tipo di uniforme che indossano, come a volerne indicare un ‘identità ufficiale, una più personale ed intima, e una terza più iconica. Queste versioni si relazionano a loro volta tra di loro definendosi “fratelli”,  in un’accezione ancora diversa dall’idea di narcisismo che oltrepassa la soglia del rispecchiamento o di un duplicato derivativo;  propone l’inquietante  possibilità di una compresenza nello stesso spazio e nello stesso tempo , la prossimità di una genia del male , una cronenberghiana covata malefica ridotta talvolta a ripetizione , performance, caricatura tragicomica di un impero crollato sotto il peso di un’ ambizione esasperata, moltiplicato per i molti ego ripetuti all’infinito. Non è un caso che l’unico a poter accedere alle porte del paradiso, proprio nel momento in cui gli altri sono distratti e blanditi dall’euforia del bagno di folla, è il Winston Churchill più strategico e ambivalente ,  quello sul quale Sokurov pone gli accenti più ambigui e problematici (cosa che ha suscitato, a detta dello stesso cineasta, l’atteggiamento negativo da parte di alcuni grandi festival cinematografici come Cannes e Venezia nel presentarlo):  già l’averlo messo sullo stesso piano di acclarati dittatori riconosciuti di crimini contro l’umanità, proprio lui che con il suo decisionismo interventista aveva contribuito a evitare il trionfo in Occidente del nazismo, può in effetti apparire come controverso e discutibile agli occhi di un mainstream poco incline ad analisi più articolate.

Ma Sokurov fa ancora una volta di più, destruttura la santificazione del monumentale statista inglese, inquadrandolo nella sua placida avidità di prestigio e grandezza (meno spietata e accanita di quella di Hitler, meno viscerale e carnale di quella di Mussolini, meno apertamente e tronfiamente patriarcale di quella di Stalin) e tra le piaghe di un infantilismo adorante da irriducibile monarchico (l’amore per la “sua regina” ); e ne suggerisce  la manipolatoria abilità politica nell’essere inizialmente stato indulgente con l’avvento del nazifascismo per contrastare l’avanzata del comunismo e nell’essersi poi alleato al momento giusto con l’Unione Sovietica ( i dialoghi con Stalin sono quelli che maggiormente riflettono questa complicità melliflua e strumentale).

Sokurov ha dichiarato inoltre che la problematicità di questo film sta nel riaprire i conti in sospeso che l’Europa in particolare ha ancora con la seconda guerra mondiale e con i personaggi che ne hanno deciso le sorti, ridefinendo , oltretutto, i confini geografici e politici di un mondo ancora oggi messo a ferro e fuoco da lotte per la supremazia, il controllo, il potere.

Ed è in fondo, al di là dello stupefacente e ammirevole risultato tecnico e formale, il significato più pregnante di un film che porta alle estreme conseguenze  l’ossessiva, maniacale ricerca sokuroviana delle cause e delle conseguenze con cui la bramosia di potere degli uomini si è manifestata nel corso della Storia e ne ha determinato catastrofi e mutazioni.

Un viaggio nel tempo che si è fatto genealogia del sublime a cui può assurgere e dell’abisso dentro cui può precipitare l’umanità in cerca di una visione di sé stessa.

In sala dal 22 dicembre


Fairytale – Una fiaba (Skazka) – Regia e sceneggiatura: Aleksandr Sokurov; Musica: Murat Kabardokov;  voci: Alexander Sagabashi , Fabio Mastrangelo, Lothar Deeg, Pascal Slivansky, Tim Ettel, Vakhtang Kuchava; Produzione: Intonations; Origine: Belgio/Russia: 2022; Distribuzione: Academy Two.

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