Festival di Venezia (28 agosto-7 settembre 2024) Why War di Amos Gitai (Fuori Concorso)

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Con le massicce proteste di piazza delle ultime settimane, durante le quali una larga parte del popolo israeliano chiede a gran voce la liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas, il governo di Benjamin Netanyahu sta attraversando un periodo certamente complicato, nonostante la retorica della vittoria a tutti i costi cui cerca di aggrapparsi.

Ad unirsi a questo coro di voci c’è anche Amos Gitai, cineasta da sempre critico con il governo, che con il suo Why War, presentato Fuori concorso, contribuisce a dare maggiore risonanza a tali proteste.

E proprio ambientando il lungo piano sequenza iniziale in una di queste piazze di protesta che il film si apre. La mdp, quasi si trattasse di un reportage giornalistico, si fa strada lentamente attraverso la comunità ivi riunita, indugiando su una lunga tavolata imbandita, nella quale, paradossalmente, più dei presenti, a risaltare sono i numerosi posti vuoti assegnati simbolicamente agli ostaggi di cui si chiede con forza la liberazione. L’assenza degli ostaggi viene così resa inequivocabile e dolorosamente plastica.

Adottando un procedimento analogo, in una forma di cinema ibrido che mescola finzione, teatro e documentario, il regista israeliano prova a interrogare se stesso e gli spettatori sul senso della guerra e del suo racconto per immagini. Una riflessione che travalica i confini israelo-palestinesi e si fa universale.

Cuore nevralgico del film è la ricostruzione dello scambio epistolare intercorso tra Albert Einstein (Micha Lescot) e Sigmund Freud (Mathieu Almaric), scambio avvenuto nel 1932 tra i due, su invito della Società delle Nazioni. Proponendo lunghi brani di questa interlocuzione – i due esimi scienziati discutono delle cause storiche, politiche, economiche, antropologiche e psicologiche che determinano le guerre, cercando, invano, una possibile soluzione che possa scongiurarne il ripetersi – al regista, evidentemente, non interessa elencare tanto le possibili risposte, qualora ve ne fossero, quanto piuttosto le domande che da un simile scambio possono scaturire.

Una di queste, forse la principale per Gitai, è pronunciata dall’attrice Irene Jacob: “che effetto hanno le immagini di guerra su ciascuno di noi?”

Amos Gitai: «Le immagini dei media prolungano la guerra» | il manifesto
Irene Jacob

Per il regista nato a Haifa, non si tratta soltanto di “semplice” assuefazione al racconto di morte e distruzione per immagini, protetti come siamo dalla distanza e dal filtro, anche psicologico, con cui gli schermi televisivi ci riparano dalla realtà che rappresentano. No, le immagini hanno, secondo il suo punto di vista, una carica ideologica e una pervasività ancor più forte – insite nel medium, come postulato da Marshall McLuhan – e contribuiscono esse stesse ad alimentare le guerre (svolgendo il ruolo di una sorta di propaganda surrettizia), facendo il gioco di chi queste guerre le vuole.

Dunque, quale forma dare a questa pellicola, evitando di alimentare questo ininterrotto flusso di rappresentazione, ed evitando, al contempo, di alimentare la guerra e la sua ideologia?

Poiché per problemi complessi non esistono mai risposte semplici, in modo simile a quanto avviene nella piazza di protesta, con le sue sedie lasciate vuote, Gitai decide di lavorare sull’assenza, di sottrarsi al proliferare della rappresentazione, di non alimentare una forma di narrazione della guerra che oggi appare l’unica possibile. Dunque, durante tutto l’arco della pellicola, non vengono mai presentate immagini di morti, di edifici dilaniati o di azioni militari filmate nell’atto del loro compiersi, quasi si trattasse di un videogioco. Si tenta invece di ricostruire la sofferenza di uomini e donne, di mogli e madri, di assediati e assedianti, con una messa in scena scopertamente teatrale e antinaturalistica.

Se Why War, nella sua forma ibrida, anti-spettacolare, a tratti respingente, sia la migliore delle risposte a questa domanda, se serva in qualche modo a non alimentare questo fuoco che sembra destinato a non estinguersi, è altro quesito di non facile risposta.

Certamente si tratta di un tentativo messo in atto per porre in discussione una certa prassi di racconto, che ci vede, il più delle volte, come dei semplici, banali, soggetti passivi.


Why war – Regia e sceneggiatura: Amos Gitai; fotografia: Eric Gautier; montaggio: Yuval Orr; musiche: Alexey Kochetkov, Louis Sclavis, Kioomars Musayyebi; interpreti: Irène Jacob, Mathieu Amalric, Micha Lescot, Jérôme Kircher, Yaël Abecassis, Keren Morr; produzione: Agav Films (Amos Gitai, Laurent Truchot), Agav Hafakot (Shuki Friedman), Elefant Films (Alexandre Iordachescu), Indiana Production (Marco Cohen, Benedetto Habib); origine: Francia/Svizzera/Italia, 2024; durata: 87 minuti.

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