Un vizio di famiglia di Sebastién Marnier

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Prima scena: una lunga sequenza soggettiva (in steadicam) conduce al volto della protagonista (interpretata da Laura Calamy, una star del cinema francese) che riceve tra le mani qualcosa che hanno già ricevuto molte altre donne insieme a lei. Siamo in uno spogliatoio dopo che le ragazze si sono lavate maniera molto accurata. Fanno un lavoro seriale, che ricorda il celebre film di Charlie Chaplin Tempi moderni (1936), insacca qualcosa, forse dei sandwich al formaggio (scopriremo dopo trattarsi di acciughe in salamoia). Seconda una trafila simile la stessa donna fa parte di una lunga fila per entrare in un carcere. Viene sottoposta a una perquisizione, poi finisce in un parlatorio, ma la persona che era venuta a trovare non si presenta. A casa una signora anziana che le affitta una stanza lei dice che di lì a poco tornerà sua figlia e dunque la protagonista si ritrova senza alloggio. Compone un numero di telefono: finalmente parla con un uomo si chiama Serge. Il mare. La donna scende da un traghetto su un’isola della costa francese della Normandia, Porquerolles. Su una panchina incontra un uomo anziano: suo padre.

Finalmente un campo a due: padre e figlia camminano insieme. L’uomo la invita a pranzo, Stéphane si lascia condurre. Si intuisce la presenza di una moglie che non gradisce la presenza della figlia. Al bar durante il primo colloquio la donna comunica la morte della madre e il padre ne è sconvolto. Arrivano alla villa. Agnès, la cuoca factotum, comincia a preparare il pranzo, la giovane propone di aiutarla: “assolutamente no” è la risposta. In salone arriva la moglie, Louise. “Il verde chiaro e il leopardato si accordano meglio” dice cambiando posto dopo aver fatto sedere accanto a lei la donna che dichiara essere figlia di suo marito. “Siete contenta di aver incontrato Serge, non è vero?”. “Si”. “Era qualcosa che aspettavate da tempo, no?”. “Si”. “Trovate una somiglianza?”. “Si, molto”. “Serge ha avuto molto successo con le donne, ce ne sono state per forza alcune meno belle di altre…”. La donna è imbarazzata.. “Comunque è tutta colpa di mio marito”. Stéphane lo giustifica: “Si commettono degli errori nella vita, non ce l’ho con lui…” Poi Serge appare e la conversazione s’interrompe.

A mezz’ora dall’inizio del film di Sebastién Marnier – passato in anteprima nella sezione “Orizzonti Extra” dello passato Festival di Venezia – sentiamo Stèphane millantare una vita differente da quella conduce. Primo capogiro. Serge e Stéphane trovano tempo per stare da soli, di nascosto da tutti: il vecchio confessa di essere tenuto in pugno dalle donne della sua vita (moglie, figlia, nipote, governante), che vogliono prendere la tutela su di lui e sui suoi beni. Secondo colpo di scena. In effetti le donne sono coalizzate tra loro, ognuna crudele a suo modo e in collera col capo famiglia. Un momento quasi incestuoso lascia interdetto lo spettatore: la modalità di conoscenza è facile da male interpretare, in un senso o nel suo opposto. La bugia appare il pane quotidiano di ogni componente della storia.

Thriller, scambio di identità, schizofrenia, lusso, violenza familiare, tanti i temi toccati sapientemente da Un vizio di famiglia che disegna un mondo privo di innocenza, di scrupoli, di sincera gioia di vivere. Doppio gioco, triplo gioco, salti mortali che rasentano l’assurdo eppure tutto si tiene in piedi come un castello di carte ben selezionate e magicamente posizionate al posto esatto nella scacchiera della vita.

Ricco di dettagli (scenografia sfarzosa e dominante nella costruzione dell’immagine), ogni pistola spara al momento in cui deve e senza la possibilità di prevedere quando: sceneggiatura, descrizione caratteriale dei personaggi, recitazione, musica e montaggio di grande qualità. Siamo dalle parti di Vertigo (Hitchcock, 1958), nei territori de Il talento di Mr. Ripley (Anthony Minghella, 1999), tratto dall’omonimo romanzo di Patricia Highsmith (nominato a 5 Premi Oscar): sottili passaggi emotivi muovono le fila del passaggio di testimone tra padre e figlia, tra amanti dello stesso sesso, tra madre e governante. I sotterfugi sono all’ordine del giorno, ognuno crede di essere più di ciò che gli viene riconosciuto, tutti vogliono fuggire ma tutti restano al loro posto, perversamente incagliati nei loro ruoli più o meno fortunati. La spontaneità è sempre tutta apparenza: inganna alla perfezione colei che si infila nella famiglia perfetta e agiata, in cui nessuno è felice e ognuno ambisce ad altro.

Laura Calamy

La ricchezza confonde tutto, uno Chateau Lafitte Rothschild pregiato di vent’anni (dal costo di migliaia di euro) cade sulla moquette bianca senza suscitare reazione alcuna; gli animali imbalsamati nella grande sala paiono fiere pronte a risvegliarsi (o forse sono solamente la proiezione di chi ci convive a suo agio da sempre); scalinate si susseguono a stanze, a cantine, a corridoi, a passaggi segreti che conducono alla spiaggia privata da cui godere di un tramonto estasiante. La meticolosità con cui viene narrata la storia è sensata e sempre giustificata, la regia muove ogni elemento con dimestichezza e fluidità: il rapporto omosessuale, l’abilità a mentire, il riconoscere il trucco usato da qualcuno e avere la capacità di ribaltarlo a proprio favore, nessuno è come sembra ma tutti sanno fingere molto bene, attori a tempo perso di una vita di spreco. Il susseguirsi di colpi di scena sfocia – tre volte – nell’uso dello split screen in maniera davvero originale. Da vedere lasciandosi cullare dal rullio del traghetto o dello yacht che conduce sull’isola dell’ambiguità.

In sala dal 04 gennaio 2023


Un vizio di famiglia (L’origin du mal)- Regia: Sebastién Marnier; sceneggiatura: Sebastién Marnier, fotografia: Romain Carcanade; montaggio: Valentin Féron, Jean-Baptiste Beaudoin; musica: Pierre Lapointe; interpreti: Laure Calamy, Naidra Ayadi, Susanna Clément, Doria Tiller, Dominique Blanc, Jacques Weber, Clotilde Mollet; produzione: Caroline Bonmarchand; origine: Francia/Canada, 2022; durata: 125’; distribuzione: I Wonder Pictures.

 

 

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