Il Festival di Berlino ha deciso di premiare due maestri. A Edgar Reitz viene assegnata la Goldene Kamera, a Martin Scorsese il ben più significativo Orso d’Oro alla carriera. Ma a Scorsese, contrariamente al solito, non è dedicata una retrospettiva. La direzione del Festival ha deciso di far vedere tre soli film: The Departed, After Hours (nella sezione Berlinale Classics) e un film non di ma con Martin Scorsese, ovvero un documentario, girato (ma forse sarebbe il caso di dire: montato) da David Hinton intitolato Made in England: The Films of Powell and Pressburger. In esso il regista, elegantissimo, guida lo spettatore attraverso le figure di questi due autentici geni del cinema inglese – e lo fa seduto in una sala cinematografica, sguardo in macchina e voce in campo e fuori campo – un documentario con una chiara idea di fondo, ovvero che sia giunto il momento di riscoprire il cinema inglese fra la fine degli anni ’30 e gli anni del Free Cinema, un cinema a tratti meno ingessato del cinema americano classico. Un cinema che ha raggiunto il proprio culmine, appunto, con il duo Powell-Pressburger, regista l’uno, sceneggiatore l’altro (però a tratti due figure davvero inscindibili). I due furono, caso rarissimo per l’epoca, anche produttori (il mitico logo di The Archers) del proprio cinema decisamente senza eguali nel panorama cinematografico di allora e per certi aspetti anche contemporaneo (anche se proprio di recente, in occasione dell’uscita di Poor Things, c’è chi ha scomodato il duo come implicito riferimento intertestuale).
Il film è oltremodo tradizionale. Scorsese – la cui storica montatrice Thelma Schoonmaker è stata sposata dal 1984 al 1990 all’anziano Michael Powell che morirà ottantacinquenne proprio nel 1990 – racconta la biografia dell’inglesissimo Michael Powell e di Emeric Pressburger, ebreo ungherese trasferitosi a Berlino, alla corte della UFA, e dopo il 1933 emigrato in Francia dapprima e poi in Gran Bretagna, e ripercorre, film dopo film, la collaborazione fra i due (durata fra alterne vicende una trentina d’anni) concentrandosi in particolar modo sui film girati durante la seconda guerra mondiale e negli anni ’50, i classicissimi Duello a Berlino, Un racconto di Canterbury, Scala al paradiso, Narciso nero, Scarpette rosse, I ragazzi del retrobottega, I racconti di Hoffmann, fino a L’occhio che uccide (Peeping Tom), girato dal solo Powell. La quantità di spazio dedicata a sequenze di film del duo è molto cospicua ed è un vero sollucchero per chi guarda il documentario di Hinton.
Il ruolo di Scorsese si articola su tre livelli: da un lato il regista ricorda le sue prime esperienze di giovanissimo spettatore dei film di Powell e Pressburger, una visione limitativa e oltremodo castrante (in bianco e nero in televisione, un autentico delitto per due registi che, come pochi altri, hanno saputo valorizzare il colore portandolo alla massima significatività estetica e simbolica), che però seppe esercitare sul ragazzino un incanto al quale, da allora, mai più poté sottrarsi; dall’altro, una ventina dopo, Scorsese ci racconta la conoscenza personale di Powell e il ruolo esercitato da questa figura , ormai marginalizzata, come mallevadore, di alcuni registi della New Hollywood, un affetto e una stima reciproci che culminarono in un posizione in residence a Los Angeles e conferita a Powell e sponsorizzata dalla Zoetrope di Coppola. Splendida la citazione (e l’inquadratura) di una lettera di Powell al giovane Martin, dopo la visione di Mean Streets, là dove il vecchio collega (37 anni di differenza) esprime apprezzamento per il nuovo talento, ma biasima l’eccessiva presenza del colore rosso. Da che pulpito! Il terzo livello è infine il riferimento, molto parco in verità, ad alcune esplicite/implicite citazioni di Powell/Pressburger nei film di Scorsese, cinque o sei non di più, ma sufficienti a sottolineare una filiazione indiscutibile.
Per il resto il film si avvale di footage, ovvero interviste soprattutto a Powell, anche se poi la più bella, a cui Scorsese e Hinton reiteratamente ricorrono, è quella nella quale i due compaiono insieme – e qui emerge l’umorismo a tratti irresistibile di Pressburger che ricorda il meglio del cinema anglofono di matrice ebraica.
In Italia uscirà con MUBI
Made in England: The Films of Powell and Pressburger – Regia: David Hinton; fotografia: Ronan Killeen; montaggio: Margarida Cartaxo; produzione: Ten Thousand 86, Ice Cream Films; origine: Gran Bretagna 2024; durata: 131 minuti.