Tatami di Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi

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Ci sono casi fortunati – pochi per la verità negli ultimi tempi – in cui l’arte o forse più precisamente le attività ad essa connesse, possono aiutare (in)direttamente la comprensione trai popoli. Un bel caso è quello di una pellicola presentata alla scorsa Biennale di Venezia nella sezione “Orizzonti” e ora in arrivo nei nostri cinema, che si intitola Tatami – Una donna in lotta per la libertà (un sottotitolo totalmente pleonastico e ridondante). Il film è stato, infatti, diretto insieme a quattro mani, dal regista israeliano Guy Nattiv e dall’attrice iraniana Zar Amir Ebrahimi, qui alla sua prima prova dietro la mdp – la donna, per altro, interpretava, forse lo ricorderete, alla grande Holy Spider (2022) oltre ad essere la coprotagonista di Sopravvissuti di Guillaume Renusson, anch’esso in sala in questi giorni, un altro lavoro engagé che consigliamo di vedere.

Ma torniamo al Tatami del titolo che come sappiamo, per esempio da Wikipedia, è una “tradizionale pavimentazione interna giapponese composta da pannelli rettangolari modulari, costruiti con un telaio di legno o altri materiali rivestito da paglia intrecciata e pressata”, oltre a costituire per esempio nel jūdō, il materasso su cui cadere. Ed infatti proprio al tappeto di quella disciplina sportiva il film fa metaforicamente riferimento, raccontando appunto la vicenda dell’iraniana Leila Hosseini (Arienne Mandi), che prende parte ad un (immaginario) Campionato mondiale di jūdō femminile che si sta svolgendo a Tblisi in Georgia, insieme alla sua allenatrice, l’ex campionessa Maryam Ghanbari (appunto la Ebrahimi). Assolutamente intenzionata ad aggiudicarsi la prima medaglia d’oro per la sua nazione in questo sport, l’atleta ha tutte le carte in regola per arrivare in finale ma a metà degli incontri, dopo aver sbaragliato diverse pericolose concorrenti, le giunge un “suggerimento” da parte delle alte sfere della Repubblica Islamica tramite la sua riluttante allenatrice che si trova tra l’incudine e il martello: deve perdere volontariamente un incontro oppure fingere un infortunio per conformarsi così al volere supremo del regime. Il motivo di tale ordine sta nella possibilità abbastanza concreta, a un certo punto della storia, che Leila possa arrivare in finale e trovarsi a sfidare una avversaria israeliana, la campionessa Shani Lavi …

E qui doverosamente ci fermiamo, dato che tutto Tatami, oltre a mostraci (e spiegarci) incontri di jūdō con i suoi colpi principali e il codice d’onore che lo regola, ruota, però, tutto intorno all’ardua scelta della donna (ma, piano piano anche di quella della sua allenatrice che si era trovata, anni prima, in una situazione analoga). E cioè di sottostare o meno a questo vero e proprio, odioso, diktat ideologico, oppure ignorarlo tout court per cercare di arrivare in finale e vincere l’agognata medaglia. Il che comporta, seguendo quest’ultima opzione, delle conseguenze non certo piccole a partire da quelle, immediate, di mettere in pericolo la famiglia: genitori, marito e il figlio piccolo della donna.

A cavallo dei generi cinematografici, lo sport e i suoi retroscena, dunque, rappresentano qui una grande metafora politica di una società dove la scelta non è libera e i voleri cadono dall’alto contro il volere e gli interessi del singolo a cui non è concesso il libero arbitrio di scegliere. E soprattutto dove la catena di comando è tutta maschile e altamente conservatrice per non dire reazionaria mentre, invece, le donne rappresentano un costante fattore di cambiamento come è la realtà dell’Iran nell’ultimo drammatico decennio.

Ben girato in un efficace, suggestivo bianco&nero che esalta la tensione della vicenda, montato a puntino, poca musica e costruito drammaturgicamente con alcune movenze da thriller politico, abbiamo a che fare in Tatami con un dramma tanto coraggioso quanto, spesso, molto emozionante. Il plot, pur non essendo tratto da un fatto realmente accaduto, si ispira a diversi casi similari in altri sport succedutesi negli anni nella nazione iraniana (a riguardo si legga l’intervista agli autori di Stefania Ulivi).

In ogni caso la vicenda, stante la situazione attuale (e non era ancora scoppiata poi la guerra Israele-Hamas) resta assolutamente credibile e realistica, così com’è, abbastanza prevedibile, la piega di quanto succede e di come la protagonista, anzi le due protagoniste, risponderanno agli odiosi ordini della suprema Ragion di Stato. Una volta eravamo noi italiani con Petri, Bellocchio, Rosi e tanti altri grandi autori cinematografici a pensare e realizzare emozionanti thriller a sfondo politico come la presente opera dell’inedita coppia Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi. Che anche con tutti i suoi “nei”, ingenuità o scorciatoie narrative, resta un film assolutamente consigliabile e da vedere in ogni caso se non altro, in ultimo, per l’ambientazione plumbea da Urss stalinista e l’eccellente recitazione del cast.

In sala dal 4 aprile


Tatami Una donna in lotta per la libertà  (Tatami) – Regia: Guy Nattiv, Zar Amir Ebrahimi; sceneggiatura: Guy Nattiv, Elham Erfani; fotografia: Todd Martin; montaggio: Yuval Orr; musica: Dascha Dauenhauer; scenografia: Sofia Kharebashvili, Tamar Guliashvili; interpreti: Arienne Mandi, Zahra Amir Ebrahimi, Jaime Ray Newman, Nadine Marshall, Lir Katz, Ash Goldeh; produzione: Keshet Studios (Mandy Tagger, Adi Ezroni), New Native Pictures (Jaime Ray Newman, Guy Nattiv); origine: Georgia/USA, 2023; durata: 105 minuti; distribuzione: Bim Distribuzione.

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