Novità e continuità nella 76° edizione del Festival di Cannes di Cinzia Cattin

Apertasi fra le polemiche, questa 76° edizione del Festival di Cannes si è conclusa, pur nella continuità dei grandi nomi in Concorso, apportando qualche necessario rinnovamento. Era iniziata fra le critiche per la prima apparizione pubblica di Johnny Depp, – a presentare il film di apertura Jeanne du Barry di Maïwenn -, dopo il processo, che l’aveva visto in aula contro la ex-moglie Amber Head. Ma le polemiche in apertura, si sa, possono rendere un evento come un festival cinematografico più accattivante e, com’era evidente, si sono andate smorzando già da subito, con l’uscita delle recensioni ai primi film in concorso.

The Old Oak di Ken Loach

Che l’edizione di quest’anno fosse all’ombra della continuità inoltre, era palesemente evidente, vista la forte presenza in concorso di nomi di registi già affermati quali Ken Loach, Marco Bellocchio, Wim Wenders, Nanni Moretti, Catherine Breillat e Aki Kaurismäki.

D’altra parte, possiamo registrare anche delle aperture. Sicuramente verrà ricordato per essere il primo anno con un presidente donna. Già da qualche mese, l’esordiente Iris Knobloch (ex presidente della Warner Bros europea) ha preso il posto di Pierre Lescure, vicino all’ormai veterano delegato generale, Thierry Frémaux.

Non è passata inosservata l’altra novità di questa edizione, che vede l’apertura al concorso per la Palma d’oro al genere del documentario. L’onore è andato a Youth di Wang Bing, che in tre ore e trentadue minuti, ci porta all’interno di un laboratorio tessile nella periferia cinese.

Les Filles d’Olfa

Forse, proprio per cercare di bilanciare la scelta di avere un alto numero di cineasti già noti, sono state invitate, come non era mai successo, molte registe donna: ben sette sono le presenze femminili in concorso. È la prima volta a concorrere alla Palma d’oro anche per una regista donna algerina, Kaouther Ben Hania, con Les Filles d’Olfa , e per una debuttante regista francese, ma di radici senegalesi, Ramata-Toulaye Sy, con il suo primo lungometraggio Banel et Adama.

Ci piacerebbe pensare, che a cinque anni di distanza dalla marcia delle ottantadue donne sulle scale della Montée des marches e dopo il movimento #MeToo, forse qualcosa in campo cinematografico si stia muovendo. Certo è, che fino a qualche giorno fa, il maggior premio cinematografico francese, la Palma d’oro, in ben settantasei anni di festival, era andato a sole due donne. Se ha fatto storia la prima Palma d’oro ricevuta dalla regista Jane Campion per Lezioni di piano, – e comunque era un ex equo con Addio mia concubina di Chen Kaige – nell’ormai lontano 1993, la seconda era andata al più recente Titane di Julia Ducournau nel 2021.

È solo in questa edizione, che l’attrice, da sempre in campo per i diritti delle donne, Jane Fonda, ha potuto consegnare la terza Palma d’oro alla regista francese Justine Triet (La bataille de Solférino, Sybil – labirinti di donna) per il suo dramma psicologico Anatomie d’une chute. Il film tratta del processo per omicidio colposo ad una scrittrice, dopo la morte accidentale del marito, in cui il figlio ipovedente è l’unico testimone. L’attrice tedesca Sandra Hüller (Requiem, Vi presento Toni Erdmann) interpreta con grande maestria il ruolo principale.

Sandra Hüller in Anatomie d’une chute

Secondo importante premio, il Grand Prix, se lo aggiudica il regista britannico Jonathan Glazer (Sexy Beast, Under The Skin) per The Zone of Interest. Tratto dall’omonimo romanzo (2014) dello scrittore inglese deceduto qualche giorno fa, Martin Amis, racconta di un impossibile idillio familiare a due passi dall’orrore del campo di concentramento di Auschwitz. Anche qui, ritroviamo l’attrice Sandra Hüller nel ruolo di protagonista, insieme all’attore Christian Friedel (Il nastro bianco, 2009 di Michael Haneke).

Il premio per la messa in scena lo porta a casa il regista franco-vietnamita Tran Anh Hùng (Il profumo della papaya verde, Cyclo) per La passion de Dodin Bouffant, un film in costume, studiato nei minimi dettagli, dove la preparazione del cibo viene messa in scena come la coreografia di una danza.

Con un nuovo capitolo da aggiungere alla sua trilogia (Ombre nel paradiso, Ariel, La fiammiferaia) sulla classe operaia finlandese, il regista finlandese Aki Kaurismäki si aggiudica, grazie alla sua tragicomica commedia Fallen Leaves, il Premio della Giuria.

La Palma per la migliore interpretazione femminile va all’attrice turca Merve Dizdar in About Dry Grasses di Nuri Bilge Ceylan, per la sua interpretazione del ruolo di Nuray, insegnante di inglese in una scuola in Anatolia, la quale, resa invalida ad una gamba dopo un attentato terroristico, cerca di ricostruirsi un’esistenza. La sua è sicuramente un’interpretazione valida, ma non ha un ruolo portante nel film. A dire il vero, avremmo preferito che questo riconoscimento ufficiale fosse andato ad uno dei due ruoli che vedono protagonista Sandra Hüller. Forse che la giuria abbia preferito distribuire i premi, invece che concentrarli? Ci piace pensare che, quando i film saranno distribuiti nelle sale cinematografiche, l’attrice tedesca troverà, comunque, l’attenzione e il consenso del pubblico.

L’attore giapponese Koji Yakusho (Babel) si aggiudica il premio per il miglior attore. Nel ruolo del taciturno e solitario Hirayama, addetto alle pulizie nelle toilette pubbliche di Tokyo in Perfect Days di Wim Wenders.

Asteroid City

Se ne vanno a mani vuote i tre registi italiani. Marco Bellocchio, forte del suo messaggio contro l’antisemitismo nella Chiesa, con il suo film in costume Rapito, è già in programmazione nelle nostre sale cinematografiche, così come lo stesso Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti, che, eccezione più unica che rara, è uscito in Italia  prima ancora di essere presentato al Festival di Cannes. Per La chimera di Alice Rohrwacher, invece ci sarà da attendere ancora un po’, probabilmente in autunno.  Stesso discorso vale per gli americani: sia Asteroid City di Wes Anderson sia May December di Todd Haynes non hanno vinto premi pur avendo presentato sulla Croisette dei film di qualità, in armonia e continuità con il loro discorso autoriale.

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